ARRIVANO I NOSTRI !
(Quando il cinema lo facevamo noi…)
Niente da fare. Avevamo appena terminato di cantare a gran voce il Tantum ergo e la Salve Regina; il Don Angelo ci aveva impartito la benedizione domenicale ma niente, il tasso di micro delinquenza oratoriana non accennava a flettere. Agevolato dal fatto che adesso si poteva addirittura agire col favore delle tenebre. Si, siamo tornati nel capannone dove, un’ora prima, avevamo seguito la dottrinetta domenicale.
(n.d.r. Il salone cinematografico del vecchio oratorio maschile si specchiava sulla Piazza del Comune, ed era anche, in pratica, la palestra di ginnastica, vedi anche qui)
Sto posto oggi lo definiremmo multifunzionale: un po’ magazzino, un po’ auditorium, un po’ spazio coperto, e per il resto molto, molto palestra. Si allenava, anche la domenica mattina, la formazione Robur et Virtus che in quei tempi comprendeva ginnasti di valore nazionale, parliamoci chiaro.
Dopo di che, essendo appunto domenica pomeriggio e preparandosi a mutare in sala cinematografica, si piazzavano le cadreghette di legno e si risistemavano gli attrezzi ginnici. Tutti. Fuorché la sbarra, naturalmente, essendo cementata al pavimento con tutti i suoi tiranti.
E quel tubo di ferro l’avevi lì, in pieno schermo, quale che fosse la tua posizione: potevi piazzarti in fondo a destra, a sinistra o davanti in centro, quello spigolo di sbarra era sempre lì, arrogante, nell’angolo in basso a sinistra del telone. Tanto normale che faceva parte integrante di ogni film.
E che film! Da Ridolini al Tarzan di Johnny Weissmuller, da Stanlio e Ollio a Buffalo Bill. Filmetti di mezz’ora in bianco e nero: ogni domenica sold out!
Un macello! Chi usciva per il ghiacciolo, chi del film se ne infischiava, chi doveva dire la sua a voce alta, chi trascinava la sedia chi ti dava una sberla sulla nuca e nascondeva la mano; come si fa a chiamarlo cinema, era una mezz’ora di pura follia.
Ma all’improvviso ecco che Tarzan, liana dopo liana si getta nel fiume. Quattro vigorose bracciate, (Johnny Weissmuller era stato Campione olimpionico dei 100 metri stile libero alle Olimpiadi di Parigi 1924 ed Amsterdam 1928), raggiunge il coccodrillo e lo strangola salvando la vita, per l’ennesima volta, a quella bellissima svampita di Jane. Mentre Cita applaude.
Oppure lo sceriffo, al comando di un drappello di banditi (sì, banditi non cowboys), irrompe a cavallo nell’accampamento degli Indiani e li stermina tutti come mosche. Dalla platea arrivava l’esultanza corale di chi ha vinto.(Ce ne fosse mai stato uno che facesse il tifo per i pellerossa…). Vi lascio immaginare cosa succedeva quando il 7° Cavalleggeri galoppa di gran carica, con la spada sguainata per rompere l’assedio a Forte Apache: Arrivano i nostri!….Sì, ci piaceva vincere facile!
Poi, come un fulmine a ciel sereno, estate 1957: scompare improvvisamente Oliver Hardy, quel carissimo cicciotto di Ollio. Stanlio rimane solo: chi ci farà più ridere adesso?
POVERI MA BELLI
(Dedicato a chi sognava in Technicolor)
Ricordi ed emozioni si affastellano. Mettere ordine è dura.
La prima immagine è Peter Pan che vola nella favola dell’isola che non c’è. Mio fratello il giorno dopo, in piena sindrome, saltabecca tra un letto e l’altro finché scivola, ci precipita in mezzo e si spezza un braccio. Mia madre è felicissima!
No, un momento, siamo entrati nel mondo dei sogni e non vi ho nemmeno avvertiti.
La Scatola dei sogni era lì, nuova nel suo mistero; due gradini e cambiavi pianeta.
Si capiva fin da fuori che quello strano, enorme scatolone contenesse una sorpresa. Non ce n’erano di uguali. Bastava spingere quelle pesanti porte in legno e vetro a due battenti, stile saloon, e la fantasia scioglieva il guinzaglio.
Gli ampi spazi del foyer, le perlinature eleganti tutto intorno, il bar con punti luce soffusi, l’accurato uso di tendaggi, di canapi e di ottoni. Persino i bigliettai che ti accoglievano con raffinato aplomb e salutavano sottovoce, facevano parte di una scenografia fantastica, agli occhi di un bambino.
Prima ancora di entrare in sala, accanto ai sontuosi scaloni che portano in galleria, fissati alla parete d’ingresso, i grandi manifesti che annunciavano la programmazione futura: Ah, guarda, fra un mese danno Sfida all’O.K. Corral c’è Burt Lancaster, non possiamo perderlo!.
Poi, oltre la pesante tenda di velluto rosso sangue, il Paradiso.
Allora si poteva entrare a film in corso: buio in sala, cercavi di orientarti; c’era sempre un sacco di pubblico. Sotto le suole il parquet tirato a cera sfrigolava, degradando dolcemente verso il palco. Tu, per non disturbare, camminavi sulle uova, radente la parete cercando una panchetta libera. Sullo schermo, intanto il film andava avanti ma quello non era un guaio: una volta entrati, lo potevi vedere anche un paio di volte; a volontà. In un clima ovattato che dava a voci e musiche un fascino esclusivo.
A luci accese era tutto un gioco di sguardi, di saluti, di sorrisi. Prima che planasse la grande emozione: i dieci secondi che valevano, da soli, il prezzo del biglietto.
Dai rotondi pilastroni ricoperti in canapa e dai neon che coronano l’emiciclo fra platea e galleria, la luce sfuma rapida nel buio. E’ un istante eccitante; il sogno inizia! Se poi dal buio esplode il leone ruggente della Metro Goldwyn Mayer oppure il tremendo claim della Twentieth Century Fox: mamma mia che botta!
Prima però la Settimana Incom. Un cinegiornale che mi piace moltissimo: Il volto del David accanto al globo terracqueo che gli ronza intorno. Una sigla invasiva introduce lo stentoreo speaker che richiama i tempi dell’ Istituto Luce del Ventennio. Il tutto in rigoroso bianco/nero.
Riporta, per lo più, notizie e gossip riguardanti il mondo in celluloide ma tant’è; ti sembra di farne parte.
Via via l’emozione genera passione, curiosità, bellezze, miti: All’Inferno e ritorno apre la mia personale epopea con i film di guerra. La Strada svela la lievità interpretativa di Giulietta Masina ancor prima di scoprire Fellini.
Un dollaro d’onore inaugura il Western con intreccio. Più l’aggiunta di Angie Dickinson che anima il saloon ammiccando languida in calze a rete: sbanda di brutto persino John Wayne lo sceriffo d’acciaio.
All’improvviso, sempre dall’America, prima il Technicolor subito dopo il Cinemascope: lo spettacolo cinematografico va oltre il sogno, ti travolge.
Tutto il vasto schermo del Lux è invaso di immagini. Quando Charlton Heston, Mosè, ieratico come pochi, sale sul promontorio davanti al Mar Rosso, si rivolge al Padreterno chiedendogli di separare le acque, beh chiamatelo come vi pare, ma lo spettacolo è davvero mozzafiato. Ti resta negli occhi la vita.
E poi, va beh, i tagli. Tu non hai più dieci anni; oggi danno La Tunica, un filmone sui Romani. Protagonisti Richard Burton e quel cattivone di Victor Mature. La scena madre si svolge in una cella del carcere Mamertino: a un certo punto questa camicetta rossa vola via dalla splendida Jean Simmons, svelandone le grazie. Solo che quel babbeo del regista aveva appena stretto l’inquadratura poco sotto il collo.
Una scena madre completamente sprecata.
Poi arriverà Ben Hur con la colossale, terribile corsa delle bighe; l’epopea di Exodus, Il Gigante di James Dean. E poi Frank Sinatra, Gary Cooper, Jerry Lewis, Liz Taylor, Kim Novak. Lo Spartacus di Kirk Douglas: bellissimo!
Per noi della Cosov, giovani calciatori oratoriani, il biglietto d’ingresso valeva al premio-partita, quando si vinceva. Quel pomeriggio siamo lì, in platea, solita panca e il Carlo, all’improvviso mi fa: Mi hanno detto che in galleria si baciano! Lassù qualcuno si ama (Rispondo io, da cinefilo…) lo sai Carlo che per baciarsi bisogna essere almeno in due, no? Dai fammi fumare una Marlboro, io ti do una Peter Stuyvesant e lasciamo perdere il resto….
Fumiamo e intanto il film va avanti; non so più che edizione fosse dei Promessi Sposi. D’un tratto, in pieno Lazzaretto, una giovane donna sbuca dalla folla e corre disperatamente verso non si sa dove ma…a seno nudo! Carlo ed io strozziamo il fumo in gola: per un paio di secondi scarsi siamo volati sull’altra faccia della Luna o, se vogliamo rimanere sul pezzo, abbiamo visto la Luce come John Belushi nei Blues Brothers. E’ vero: c’è sempre una prima volta! Ma come mai non l’hanno tagliata quella scena? Non era nemmeno un film Per adulti. Allora non c’era il Vm18 o il Vm14; si diventava maggiorenni a 21 anni.
E poi ancora tanto, tanto cinema. Fino a osservarlo con occhi critici, rivederlo e scegliere fior da fiore perché non era più passatempo ma cultura, non più spettacolo ma crescita.
CRONACA DI UNA MORTE ANNUNCIATA
(Perché, in fondo, è sempre questione di amore)
Il vecchio Lux intanto entra in sofferenza di fronte ai nuovi Media. Chi dovrebbe sentirne l’esigenza, guarda altrove: a Villasanta non si sogna più.
La sua clèr si alza sempre più di rado. Il suo fascino resiste sotto la polvere mentre in paese luoghi di aggregazione così grandi non ce ne sono. Ma quel che è peggio, sembrano non servire.
Il Cinema Lux, iniziativa voluta dalla parrocchia di Santa Anastasia, realizzata su terreno donato dalla famiglia Camperio e finanziata con una capillare colletta popolare che ha raccolto anche monetine da 5 lire, dopo soli quarant’anni di splendore diventa ricettacolo per piccioni. Indegno.
L’arch. Borradori che, potete starne certi ha lavorato a costo zero, aveva messo su un gioiello di teatro. Lo sanno le migliaia e migliaia di spettatori che sotto quel magico cielo a bolle hanno sognato per anni. Lo confermano artisti di fama internazionale che a più riprese hanno occupato quello spazio artistico per prove di acustica e di allestimento tecnico. Nemmeno Monza disponeva un auditorium pubblico di tale qualità. Ma tutto questo non bastava più.
Si fantasticò, per un tempo, di un destino più bello e splendente che pria… se ne parlò con vigore, poi sempre più di rado poi il silenzio, fino a che la sola idea di recuperarlo diventò, ovviamente, improponibile.
E’ andata che mani estranee ne hanno decretato la morte. Gente che non c’era quando fu costruito, gente che non c’era quando l’hanno abbattuto. Estranei, appunto.
Di seguito due articoli d’epoca per ricostruire il lento declino e i tentativi di salvataggio falliti: il primo, del 2014, che fotografa la situazione qualche tempo prima della decisione di abbattimento. L’altro, del 1981, in un periodo ancora felice nel quale il LUX veniva utilizzato come sala cinematografica e altre manifestazioni.
IL-PUNTO-DI-VILLASANTA-2014-03.4 ppmaggio81
Privato. Caro Franco, ho scoperto in te un romantico poeta. Leggendo il tuo “Amarcord”, io, pur essendo un Villasantese di “adozione”, mi sono commosso, anche se non mi adottato Villasanta ma l’ho scelta io.
Voglio, in ogni caso, ricordarti che la fine della scatola magica non è stata voluta da estranei ma proprio da villasantesi doc. Ciao amico mio.
Al cinema Lux si concludeva la sfilata di carnevale con scenette e l’immancabile film di Walt Disney.
Al cinema LUX vendevo i biglietti la domenica sera. Poi don Angelo ci faceva salire per fare il borderou.
Allora, poi eravamo liberi da impegni e andavamo, a piedi in Pizzeria la prima che aveva aperto di fronte alla Democrazia, poi quando avevamo qualche solo in più si andava alla “Polaia” a Monza e poi venne la pizzeria “Capri”.. Quanti ricordi, Ciao