il significato della memoria

La Democrasìa l’è una roba seria!

Verso la metà di via Garibaldi, poco prima del passaggio a livello, fino a ieri per un caffè, un bianco spruzzato o dieci Nazionali Esportazione c’era la Sciavattìna, la sciura Viganò: la clèr abbassata è ancora lì da vedere. Tabaccheria stile prebellico,  con uso di civettuolo bersò più un bel campo da bocce, proprio a ridosso della ferrovia. Ci entravano proprio tutti; carrettieri, operai, gente di passaggio, fumatori in genere, soprattutto quando le sbarre erano abbassate e la scusa cadeva a fagiolo per un drink.

Natale Porta al banco di comando

Qui ci starebbe a pennello l’amarcord di quel cacciatore che, proprio per un caffè dalla Sciavattìna, legò il suo cane alla stanga del passaggio a livello (tanto faccio in un attimo…) ma, maledizione, il treno arrivò in un amen, la sbarra si alzò e il cane…con lei. Pora bestia.

Da ieri no, non è più così. Anno Santo 1950; inaugurano la Democrasìa. Al di qua della strada (una dozzina d’anni dopo, sarebbe diventato l’incrocio Garibaldi/Edison/Volta), la Parrocchia di Santa Anastasia deve aver trovato l’accordo con la famiglia Camperio per dare una casa comune ai democristiani. E che razza di casa.

La parte costruita sarà ampia per lo meno quattrocento metri quadri per piano. L’edificio è su due livelli. Il piano terra è di eccellente qualità: riduttivo chiamarlo bar.

la signora Egidia

Quattro luminosi ambienti: appena entri c’è la caffetteria/tabaccheria. Un banco nuovissimo, lungo una decina di metri dietro al quale il signor Natale Porta e sua moglie, la signora Egidia, governano il tutto come fossero sul ponte comando di una nave.

Sì, questa giovane coppia si è assunta un compito mica da ridere: governare e tenere sotto controllo un locale pubblico che, proprio per come è stato progettato, si annuncia il più vivace centro di aggregazione del paese. Alla Democrasìa avranno sede, oltre che la segreteria politica della D.C. (ma questa gravita al piano superiore), il Club Alpino Italiano, il Moto Club, la Gerbi ciclistica, la Bocciofila e quant’altro stia sbocciando in quella fantastica alba.

Ovviamente si lavora sette giorni su sette, dal primo mattino fino a mezzanotte, in un’epoca in cui al bar si andava anche dopocena per una partita a carte, a biliardo, o solo per la curiosissima TV.

Il secondo salone era una mensa di alta qualità: cinquanta, sessanta coperti tutti i giorni, esclusa la domenica da servire di manicaretti il cui profumo si spandeva proditoriamente nell’aria prima di mezzogiorno. Nella cucina accanto, quattro cinque signore apparecchiavano un servizio  che aveva riscosso fin da subito alto gradimento. Ed erano rigatoni, spaghetti e fettuccine al ragù, al pomodoro, ma anche al burro, accompagnati da secondi piatti di carne freschissima, dal momento che in quei tempi, i surgelati non esistevano. Seduti ai tavoli, in compagnia di qualche rappresentante di commercio, operai e habitùe, c’erano  sempre trenta o quaranta camionisti della raffineria, con i camion parcheggiati nello slargo verso la ferrovia, (la circonvallazioni arriverà undici anni dopo). Appena arrivati con le loro autobotti da Genova o da Ravenna, avevano scaricato in Lombarda Petroli e, dopo  pranzo, si accingevano a fare il viaggio a ritroso, verso i rispettivi porti, alla guida di autotreni senza servosterzo né servofreno. Soprattutto senza autostrade. Avevano avambracci e mani che erano autentiche morse. Si nutrivano come non ci dovesse essere un domani. Mai visti arrabbiati o stanchi. Mistero.

Il pranzo alla Democrasìa aveva la stessa bontà di quello di casa (le porzioni forse ancor più generose), le signore della cucina servivano col sorriso, dando del tu. Già, nella semplicità corrente, il tasso di buona educazione era comune a molti.

Tale fu la fama di quella cucina, che valse a lungo anche per banchetti matrimonali.

Ultimo salone: due splendidi, nuovissimi biliardi Hermelin a sei buche. Mai visti nemmeno al cinema.

Un verde smeraldino che per noi ragazzi era tutto un Vedere e non toccare. Ci avevano terrorizzato con la balla del delicatissimo tappeto: Se strappi il tappeto, paghi tutto il biliardo…orcoccàne! Era già emozione togliere la biglia dalla buca e restituirla al giocatore: una sfera magica.

Donato Piazza campione italiano
inseguimento professionisti
con Fausto Coppi campione del mondo
professionisti su strada
e il villasantese Aldo Saini.
All’estrema destra, appena di profilo Alfredo Binda

Su quei tavoli abbiamo visto esibirsi fenomeni di casa; Gigiòt Erba, che per dare il colpo sotto sormontava la stecca con il dito indice; come lo Spaccone! Paolo Colombo e Franco De Cesaris, tattici che preferivano  dare l’imballo all’avversario che non sparacchiare alla brutto cane. Luigi Magni, Marco Stucchi, Dionigi Beretta, talenti naturali del colpo d’occhio, tali da inventare traiettorie con effetti impensabili.

E anche qui, tra una Goriziana e una Carambola, a Bazzica o a Boccette si dipana un’aneddotica pazzesca: si può affermare, in ogni caso, che buona parte della fama stecchistica villasantese sia nata su quegli Hermelin in quegli anni, non c’è dubbio.

Infine i tre viali di bocce all’aperto e ul balén con negli occhi interminabili tornei domenicali, a volte veri e propri campionati, che trasformavano quel luogo in una specie di stazione ferroviaria all’ora di punta.

Andrea Oggioni

Perchè Villasanta andava forte a bocce: ul Négar, ul Boròli, prima che sorgesse l’astro di Censén Ornaghi, appena appese al chiodo le scarpette da mente pensante del Santa Calcio, si riscoprì talento naturale anche di punto e raffa. Ma avrebbe brillato in qualunque sport in cui contano destrezza fisica e intuito. Stagioni che hanno arricchito il medagliere del club con una valanga di affermazioni.

Nella primavera del ’53 Donato Piazza si aggiudica per la seconda volta consecutiva il titolo italiano di Inseguimento professionisti su pista. Nel salone al piano sopra organizzano un gran ricevimento con il Campione, autorità federali e locali. Sono in mostra le biciclette del Donato, ovviamente, di Fausto Coppi, di Fiorenzo Magni, Giorgio Albani e Guido Messina, Campione iridato della specialità

Tutto questo caravanserraglio ruotava attorno a Natale Porta e alla signora Egidia. La Democrasìa era il centro-motore di partenze e arrivi per le gite del CAI, (notevole che sul percorso fosse anche prevista una sosta per la messa domenicale). Gite evento cui prendevano parte un po’ tutti pur di stare in compagnia. Biciclettate per la Valcava quando era tempo di narcisi; chi andava per città d’arte e chi con la littorina fino al lago.

Per chiudere con l’immagine romantica di un Andrea Oggioni che, quando era a casa, arrivava in orario per seguire alla radio la partita della sua Juve.

Tutto il paese in un solo luogo.

Campari soda o Vermouth con la Grappa?

Ma quale de gustibus…, la questione era diventata motivo di rivalità conclamata fra quelli del Camparino e gli altri, la brigata del Punt e Mes. Per dirimere la faccenda si era arrivati a noleggiare il campo sportivo di via Veneto per una partita fra Contendenti alcoolici. Le cronache sono carenti sia per quanto concerne le formazioni che, soprattutto, per il risultato finale. Forse è meglio così ma questa strana storia, vista dopo settant’anni introduce un approfondimento enogastronomico.

Premesso che le tendenze, mi pare di poter dire, hanno in seguito ampiamente premiato la scelta a favore dell’aperitivo alcoolico che producono a Sesto San Giovanni, è il caso di chiarire.

Il  Campari. Beh, qui a Villasanta è come rispolverare il rito laico di migliaia di maschietti che, a  una certa ora del giorno, non disdegnavano l’idea di alzare il gomito con un pizzico di gusto in più.

La leadership della versione classica del Bitter Campari è rimasto saldamente, per oltre quarant’anni, nelle mani della famiglia Radrizzani, alias Bar Roma. Papà Piero e in seguito Franco Radrizzani hanno investito la propria fama sul Bitter al bar Roma portando a casa, alla fin fine, il riconoscimento ufficiale della Casa madre.

Servire un Bitter Campari come Dio comanda, è arte. Cura del dettaglio. Professionalità del porgere.

Al Bar Roma era una liturgia: dal mix equilibrato dei dosaggi, alle temperature di liquore e seltz, al freddo ghiacciato del bicchiere, ai contorni, alla pulizia, per finire al giusto rapporto qualità/prezzo; potevi arrivare persino da Torino e fare il tifo per il vermouth ma quell’aperitivo, stanne certo, non te lo scordavi.

Poi c’era l’alternativa Soda la bottiglietta da 98 mml 25° volumetrici. Ma la raccontiamo più avanti.

Dalla Guerra mondiale a quella ormonale

Il signor Natale quello che doveva dire l’aveva detto: La Democrasìa l’è una roba seria. Ed era un tipo che non amava ripetersi.

La sera prima, servendo le birre al tavolo da rilancio, il giovanissimo Jack, un camerierino devoto e molto educato, si era sentito investire: Jack, (*§^.ç%) t’a l’ho gemò dìi…la skùma…SUTA (°,>’:%%). Tradotto, per chi non mastica; l’avventore accigliato, seduto al tavolo da gioco, rimproverava il cameriere di essersi di nuovo scordato di servirgli la birra con la schiuma SOTTO! Il tutto confezionato con un bel nastrino color turpiloquio.

Il giovane Jack tra i boccisti della Democrasìa
in cui spunta il sorriso di Vincenzino Ornaghi

Ovviamente il vecchio Jack, conoscendo i suoi polli, aveva abbozzato alla grande; in caso contrario l’avrebbero fatto a pezzettini in un vortice infinito di maledetti sfottò. Non c’era alcun dubbio.

Quello era il tavolo degli strappamutande. I primissimi bastardi del dopoguerra.

No, al tempo! Ma cos’avete capito? Nessuna violenza! Soltanto Joie de vivre!. Si trattava solo di pimpanti maschietti nati nella seconda parte degli anni Trenta. Usciti dalla Guerra mondiale, nel giro di poche  settimane erano piombati in quella ormonale. Tutti quanti diciotto-ventenni, scoppiavano di salute e vantavano consistenti crediti arretrati con la vita.

Bellocci e sfrontati quanto basta, quasi tutti lavorano da mattina a sera; qualcuno che può, va avanti a studiare. La libertà la stanno prendendo a morsi. Non ce n’è mai abbastanza, per loro.

La sensazione,  comunque, stando alle cronache, è che anche l’altra metà del cielo, detto con tutto il dovuto rispetto, non riesca a  opporre soverchie resistenze per contenere gli assalti. Insomma non si ha memoria di particolari incresciosi: si sa, viceversa, che era nettamente  aumentata la vendita di lingerie. In paese si continuava a produrre eccellenti macchine utensili, ottimi calciatori ruspanti e splendide fanciulle. Fidanzamenti a raffica. Tutto sotto controllo.

Domenica mattina, ore 11 o giù di lì. Il Mariuccio arriva sulla sua Mondial 125. La parcheggia sullo sterrato accanto al bar.  Accende la Turmac e sfodera il suo tipico charme bastardo.

Indossa un abito da sartoria tanto elegante che sembra stia andando a tirare su il Consenso come si diceva allora per i fidanzati che erano in procinto di ufficializzare le nozze. Invece il rito laico a cui stiamo assistendo è un altro. E necessita di un preambolo.

Davide Campari Soda  S.p.A.

Il Bitter Campari ormai, andava via come il pane. Fatturato alle stelle e grafici di vendita che sprizzavano ottimismo ogni giorno di più. Restava il fatto che, come abbiamo già visto, mixare un bitter decente non è da tutti quindi che fanno a Sesto? Inventano il bitter premiscelato in casa nel giusto equilibrio: lo si vende in bottiglia, il gusto è garantito, costante, il cliente apprezzerà.

Nel 1932, Davide Campari che come il padre Gaspare ha sempre avuto in gran conto, oltre alla qualità intrinseca del prodotto, anche la sua confezione,  Affida al pittore-grafico-designer futurista Fortunato Depero, molto noto a livello internazionale, il progetto di una bottiglietta che possa contenere il nuovo nato di famiglia: il Campari Soda.

L’artista di Rovereto inventerà la bottiglietta a Cono tronco senza etichetta che noi conosciamo, immutata da sempre. Questa creazione è diventata un’icona. E’ stata presentata alla Biennale di Venezia del ’32 con il titolo di Squisito al seltz e da allora è il pezzo forte nel ricco Museo Galleria della Davide Campari S.p.A. alla Casa madre di Sesto San Giovanni.

Ogni particolare è motivato da scelte persino filosofiche; il perché dell’assenza dell’etichetta, del carattere gotico del brand, del rosso rubino ecc. Ciò su cui si sorvola bellamente è che, se il primo Campari soda ti prende, il secondo ti stende.

Ma gli strappamutande se ne infischiano: l’appuntamento è pronto, come tutte le domeniche, prima di mezzogiorno.

Il signor Natale, la cassetta in legno inciso a fuoco con il marchio in Gotico, l’ha piazzata lì, sotto al tavolo centrale. Fate conto: è un cubo di circa trenta cm. di lato e, mi dicono, contiene esattamente quarantotto bottigliette da 100 millilitri di aperitivo già mixato a seltz. Freddo quanto basta.

I bicchieri sono sul tavolo, il contorno e sul bancone: si tratta di un certo quantitativo di piccoli sànguis (in inglese sandwich? In dialetto sànguis) a fette. L’aperipranzo può cominciare. Basteranno 48 bottigliette?

La contabilità la tiene il signor Natale, non preoccupatevi. Anche perché, a sarabanda conclusa, basterà contare i resti e alla cassa andrà il Mariuccio (non ne ho le prove, sono certo) e il conto quadrerà senz’altro.

A questo punto ci vorrebbe lo spazio che non ho per completare l’affresco di un decennio dorato.

Fino a una delle tante monelle notti d’estate in cui, per una fatalità idiota, su una discesa percorsa mille volte in direzione di Peregallo, due ragazzi di quelli persero la vita. E tutti gli altri, la giovinezza.

Si ringraziano Franco Citterio e Giorgio Porta per la cortese collaborazione. Bartolomeo Ferrara per gli scorci tratti da Immagini Ritrovate

6 Comments

  1. Anche stavolta Franco ci fa rivivere ed invidiare atmosfere di un passato dai riti e dai ritmi diversi. Non so aggiungere altri complimenti a quelli già espressi per gli altri suoi racconti. Resto sempre più ammirato della sua capacità di descrivere argomenti tra loro tanto diversi (il biliardo, il Campari, Donato Piazza, i camionisti e così via) come se ne fosse stato egli stesso partecipe o spettatore, anzi testimone degli eventi che evoca.

  2. Grazie a Franco per la serie di articoli storici su Villasanta, molto interessanti per gli “immigrati” come me. Una curiosità : alla Democrasìa ci andavano tutti, anche i comunisti?

  3. Bravo Franco! Bellissimi e divertenti i tuoi racconti sul vissuto della nostra Villasanta. Affiorano ricordi piacevoli e lontani che sarebbe un vero peccato dimenticare. Perche’ non farne una raccolta? Aspetto il prossimo.
    Anna P.

  4. alla democrazia per anni mio fratello GIOVANNI ha fatto il barista alla sera dopo il lavoro per portare a casa qualche soldo. L’ ha fatto il suo pranzo di matrimonio. Io da ragazzino andavo con altri a vedere alla TV Rin tin tin e penna di falco. Bei tempi.

  5. Caro Franco, che descrizione degli anni 50! Mi viene un dubbio: ma le coetanee degli strappa mutande (presumo dirette interessate) non avranno anche loro qualcosa da raccontare? O erano solo tutte oratorio femminile e filanda? Dove è l’altra metà del cielo in quegli anni di joie de vivre? Qualcuna che ne scriva non si trova proprio? A presto e continua, mi raccomando sei troppo divertente!
    Denise

    • Bravo Franco! Bellissimi e divertenti i tuoi racconti sul vissuto della nostra Villasanta. Affiorano ricordi piacevoli e lontani che sarebbe un vero peccato dimenticare. Perche’ non farne una raccolta? Aspetto il prossimo.
      Anna P.

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