A ricordo della tragedia in cui Andrea Oggioni perse la vita, Pierre Mazeaud che lo accompagnava nella spedizione insieme a Waler Bonatti lo ricorda nell’articolo che di seguito riportiamo.
Venerdì 14 luglio 1961, ore O. La notte fluisce lenta.
Noi siamo in un bagno di acqua ghiacciata, gli abiti gelati s’incollano al corpo.
Ora sono le quattro. Parlo con Walter Bonatti. Vorrei continuare la salita, qualunque sia il tempo; vorrei forzare il passaggio verso la cima, so che Walter potrà condurci fuori da questo inferno; lui conosce questa montagna come casa sua, è il suo regno. Mi preparo. Fuori dalla tendina tutto è rigido, duro, gelato. Nevica. Tutto s’incolla alle dita, chiodi, moschettoni, corde. Non ho più forza. Tutti gli altri sperano che noi si riesca a forzare il passaggio, ma dentro di loro sentono che è impossibile. Io stesso sento che non ce la farei.
Walter mi guarda e capisce…
Dobbiamo rinunciare, dobbiamo tornare indietro. C’è anche una certa nobiltà nel rinunciare prima di essere del tutto vinti. Non siamo vinti dalla disperazione e neppure dalla paura; soltanto dalle condizioni avverse. Questa ritirata può essere ancora una vittoria.
Walter scende per primo. I tiri di corda saranno di 80 metri.
Io lo seguo, assicurandolo. Si tuffa nel vuoto.
Non si vede a un metro. Gli altri seguono a loro volta, in silenzio. Siamo nel turbine di una tempesta inaudita.
Andrea Oggioni chiude le discese, sempre con il sorriso sulle labbra. Siamo costretti ad assicurarci con un cordino, nessuno di noi è più padrone dei suoi movimenti. Walter impone ordine e calma. Impieghiamo delle ore per raggiungere il Colle del Peuterey. Siamo nella neve fino al petto. Faccio qualche iniezione di coramina ai compagni più esauriti. Ora ricordo i primi segnali della tragedia: Pierrot, le mani lacerate dal gelo, siede sulla neve, silenzioso e assente. Si fa fare un’altra iniezione, poi si rifugia nella tendina degli italiani. Antoine reagisce in altro modo; per scaldarsi taglia il ghiaccio per creare un riparo. Andrea Oggioni prepara dell’acqua calda; ha il viso segnato dalla stanchezza: per tutto il giorno si è accollata l’estenuante fatica di chiudere la marcia e di recuperare tutto il materiale.
Scende la notte. Antoine ed io parliamo, parliamo di tutto, senza sosta, senza fine. Walter mi dice che Roberto e Andrea riposano tranquilli.
Sabato 15 luglio, ore 3. Occorre partire subito. Formiamo una cordata sola. Una cordata di uomini, simbolo d’amicizia, una cordata di sette uomini che vanno verso il loro destino. Il nostro calvario.
Ad un certo punto, Antoine mi raggiunge e mi parla con calma della sua marcia nella neve alta, ma ad un tratto sembra divagare, non connette più, cade di schianto, seduto sulla neve. Walter dal basso intuisce e grida di affrettarci. Supplico Antoine di alzarsi e di raggiungermi. Non risponde. È scosso da qualche sussulto. Aiutato da Robert, cerco di trascinarlo, ma egli scivola quietamente nel solco della neve. È morto…
Robert, vicino a me, piange il suo compagno di tante ascensioni. Intanto Walter è risalito e si è unito a noi. Avvolgiamo Antoine in un telo e lo assicuriamo a un chiodo. Sarà per lui la più bella tomba, qui, ai piedi del suo «Pilone». Per rito antico, lasciamo il suo sacco con lui. Il volto rigato di lacrime, riprendiamo la discesa.
Andiamo lentamente verso la morte. Io non riesco a pensare. Nessuno di noi pensa: siamo dei morti ambulanti. Pierrot, che mi segue, mi parla, ma io non rispondo; tanto non ha importanza, lui non è in grado di capire. Neppure io lo sono. Cado, finisco sotto la neve.
Pierrot mi afferra, cade anche lui, ci aiutiamo a vicenda, siamo due amici. Riprendiamo la marcia. Walter è avanti, poi c’è Roberto, quindi Pierrot, poi Andrea che io tengo per le spalle, e dietro c’è Robert che sorregge me alla stessa maniera. Sorreggiamo e ci appoggiamo contemporaneamente.
Un trono di moribondi. Walter forza l’andatura. Solido come una roccia si è imposto il dovere di portarci in salvo. Walter mi chiama. Dobbiamo attrezzare il colle dell’Innominata. Al di là c’è la salvezza. Io lo so, lo sappiamo tutti: si tratta di salire per cento metri. Lavoriamo sul passaggio e Walter sale, io ritorno a raggruppare gli altri. Il primo a raggiungermi è Andrea Oggioni. Piange e grida: «Robert! Robert!». Accorro dove avevo lasciato il mio compagno. Non c’è più, frugo a quattro mani nella neve. Robert è introvabile. La tragedia è al suo secondo atto. La tempesta mi acceca, grido e chiamo. Nessuna risposta. E io che ti credevo ormai salvo, come tutti noi! Caduto in un crepaccio tu stavi morendo a qualche metro da me, tu eri già morto. Quando ti abbiamo ritrovato nella neve, il tuo viso non indicava dolore, eri sereno e quasi felice. Qui, sulla tua montagna, sei stato accontentato; la vita, come tu la volevi, si è compiuta.
Smarrito, folle di dolore, raggiungo Pierrot, Roberto e Andrea. Siamo soltanto in cinque, ora.
Bonatti e Gallieni forzano ancora. La loro è come una corsa verso rifugio Gamba, verso la salvezza di tutti. Pierrot mi guarda. Ha il viso devastato, gli occhi pieni di calore umano, quasi d’amore. Si slega e, solo, senza assicurazione, arrampica per quaranta metri, raggiunge Bonatti. Esce dalla mia vita. Ho saputo della tua morte, l’ho vissuta. Ti ha colto a pochi passi dalla salvezza, a pochi metri dal rifugio: ti sei assopito sulla neve, pregando per morire. Quando i soccorsi sono giunti a te, hai trovato ancora la forza per chiedere di me, di stupirti perché non ero al tuo fianco io, che uno strano destino aveva così sovente legato alla stessa corda, ma non hai atteso la risposta; te ne sei andato, abbandonandoti al grande sonno!
Io resto solo con Andrea. Saliamo lentamente. Siamo sfiniti. Walter dall’alto si rende conto della situazione. Non c’è altro da fare: Andrea ed io resteremo qui, mentre Walter con Gallieni andranno al rifugio in cerca di aiuto. È mezzanotte. La tempesta infuria. Non c’è più nulla d’umano, se non la morte che ci circonda. Impiego un’ora per salire qualche metro. Non ci vedo più.
Arrivo a un chiodo, ma non riesco a liberare la corda dal moschettone. Mi fermo. Chiedo ad Andrea di raggiungermi. Cerco di aiutarlo nella salita. Arriva come un bambino smarrito e si accoccola al mio fianco, riposando con la testa sulle mie braccia. Siamo davvero dei morti ambulanti. Attendiamo, incoscienti, senza forze, ubriachi di morte. Il tempo deve passare, col ritmo di sempre, ma non ce ne rendiamo conto, siamo indifferenti al mondo, alla tempesta, a tutto.
Ora sono le due. Andrea si muove, comincia a parlare, mi stringe le braccia. Io. non so l’italiano, ma nella semi-incoscienza intuisco che mi parla dei suoi cari. Sento parlare di Monza, di Villasanta, dove Andrea è nato e c’è la sua casa. Mi guarda e il suo viso è così dolce! Lo tengo contro di me e gli parlo in una lingua a lui sconosciuta. Siamo due uomini che si capiscono, anche se non parliamo allo stesso modo.
Alle due e un quarto Andrea si spegne fra le mie braccia.
Il tuo nome, Andrea, resterà per me come un simbolo! Quel tuo nome che è legato al diedro della Brenta, alla parete Sud del Monte Bianco, a tante e tante altre imprese. Il tuo nome così legato a quello di Bonatti! Tu sei morto perché volevi che noi vivessimo, chiudendo la marcia, sospingendoci tutti verso la salvezza. Eri un uomo semplice, avevi un volto strano, con dei tratti che sembravano così duri ed erano sempre tanto teneri. Io ti ho visto assopire e ti ho visto morire e sei proprio tu che mi hai fatto capire come la morte non sia niente… Qualche ricordo, una muta preghiera e ci si spegne.
Lassù, su quella parete, in quella notte, morto, tu avevi lo stesso volto che più tardi ho visto scolpito immutabile, sulla tua tomba, a Villasanta. Un viso d’uomo.
Pierre Mazeaud
DA QUESTO LINK è possibile accedere al sito Montagna.tv che in ricordo dell’evento pubblica il filmato Grimpeurs. La tragedia del Pilone Centrale del Freney, dove la tragedia viene raccontata e descritta da tutti coloro che in qualche misura ne sono stati toccati. Tra questi Pierre Mazeaud.
Pierre Mazeaud, (Lione, 24 agosto 1929), alpinista, giurista e politico francese.
Conosciuto soprattutto per la sua attività alpinistica di alto livello, svolta nel corso di oltre trent’anni, vanta una carriera di prim’ordine anche nell’apparato politico e giudiziario.
Entra in magistratura nel 1960 ed è più volte chiamato a far parte di formazioni ministeriali. Deputato all’Assemblée Nationale dal 1968 al ‘73 e dal 1988 al ’98 è stato Segretario di Stato allo Sport nel governo Mèssmer e nel primo governo Chirac. E’ stato per oltre dieci anni Giudice dell’Alta Corte di Giustizia fino ad esserne Vicepresidente. Componente del Consiglio costituzionale dal 1998, viene designato presidente da Jacques Chirac nel febbraio 2004 e reggerà la carica fino alla fine del mandato, nel 2007.
E’ stato il primo alpinista francese a completare l’ascensione all’Everest nel 1978 in cordata con i connazionali Jean Afanassieff, Nicolas Jaeger e all’austriaco Kurt Diemberger.
Nel 1962, per commemorare i compagni scomparsi sul Monte Bianco, si lega a Walter Bonatti per aprire la “Via dell’amicizia”, sulla parete sud delle Petites Jorasses.