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Circolare per cortesia. Circolare!

Produrre, consumare, buttare. Questo è il paradigma economico, culturale e sociale che caratterizza il sistema nel quale viviamo, principale responsabile dell’inquinamento marino e terrestre e dell’accelerazione dei cambiamenti climatici. Un sistema in crisi che genera una ricchezza e una conoscenza globale come mai accaduto nella storia dell’umanità, allocate però in modo sempre più diseguale; basato su una velocità non sempre giustificata, generatore di ansie sociali e personali, di insicurezze e infelicità. Un sistema che non mette nel conto gli imprevisti e le fragilità. Come sta accadendo in queste settimane.

Esiste un’alternativa più desiderabile, più equa, capace di adattarsi ai cambiamenti climatici e quindi più felice?
E noi, a Villasanta, cosa possiamo fare? Ci confrontiamo con Micaela Bonfarnuzzo che ha tenuto un corso – nell’ambito delle iniziative di formazione promosse dall’Amministrazione comunale – dedicato all’economia circolare. Ci affidiamo alla Ellen MacArthur Foundation per una sua definizione puntuale: un’economia pensata per potersi rigenerare da sola, in cui i flussi di materiali biologici sono reintegrati nella biosfera e quelli tecnici rivalorizzati. Il riferimento sono i sistemi viventi dove le sostanze che li nutrono sono elaborate e utilizzate per poter essere riemesse nel ciclo “chiuso” e “rigenerativo”.
Echi del nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma.

10 buone azioni

La transizione verso l’economia circolare è uscita dall’ambito pioneristico per entrare nei programmi di stati e governi, dell’Unione Europea, di città e aziende. Il mondo della finanza internazionale ha “annusato” l’aria che tira, sposando l’esigenza di sostenibilità e spostando ingenti risorse su strumenti finanziari che alimentano la transizione verso fonti di energia rinnovabili e modelli di produzione a ciclo chiuso. Cambiare il mondo sembra essere un imperativo per molti.

D. Micaela i temi del cambiamento climatico, della necessità di un sistema economico più equo e sostenibile cosa hanno a che fare con la nostra vita quotidiana? Abitare, mangiare, muoversi, vestirsi, andare in vacanza…..ecc..

R. Siamo la prima forma di vita sulla terra che è responsabile di un’alterazione, potenzialmente irreversibile e definitiva, della propria presenza ed esistenza così come si è svolta finora. Siamo noi, con il nostro sistema economico e produttivo e con la nostra prepotenza sull’ambiente, che abbiamo consumato e stiamo consumando risorse.
Rispetto a questo stato di fatto, Stefano Caserini, autore di numerosi testi di divulgazione scientifica, docente del Politecnico e ricercatore nel settore dell’inquinamento dell’aria, ci consegna una buona notizia: si può porre rimedio ma con determinazione e subito. Di fronte alla grande responsabilità non si possono procrastinare misure e azioni che fermino, e poi invertano, la tendenza del collasso del sistema uomo- ambiente. Quindi a ognuno il suo ruolo: dalle nazioni ai governi, dalle amministrazioni alle imprese, dai poteri finanziari ed economici alle comunità di cittadini, fino ai singoli. Ciascuno deve fare il proprio pezzo di strada, nessuno escluso. Se ci preoccupiamo di guardare a ciò che possiamo fare, dobbiamo considerare tutti gli aspetti elencati nella domanda.
C’è un piccolo libro di Linda Maggiori, Impatto Zero, Dissensi editore, che suggerisce un approccio a basso, quasi nullo, impatto ambientale: parla di autoproduzione (detersivi, creme, pane, dolci, giocattoli), di risparmio energetico, di acquisto di prodotti sfusi, a km 0, della scelta di una alimentazione senza carne o in quantità molto limitata (l’allevamento
intensivo di animali, per consumo d’acqua, sfruttamento del terreno per il fabbisogno nutritivo, produzione di CO2 ha un notevole impatto ambientale ed è uno dei fattori che può far considerare l’abbandono o la limitazione dell’uso di carne), di rinuncia all’automobile…
Cambiare stile di vita è un’operazione da fare per gradi: si parte dal prendere consapevolezza del problema, di quello che si può fare, del cambiamento culturale che la situazione impone, per passare poi a una fase operativa: in base alla propria disponibilità e possibilità. A mano a mano che ci si allontana da ciò che sembra comodo e semplice e insostituibile, aumenta la comprensione, forse l’evidenza, che il cambiamento è nelle nostre mani. E si arriva lontano!

D. Come e dove possiamo informarci anche per evitare le trappole della comunicazione “greenwashing”, dove le etichette di bio, naturale e sostenibile sono spesso ridotte a operazioni di marketing ?

R. Chi fa marketing ha certo riconosciuto nel termine sostenibile un aggancio per una fetta di mercato significativa, come è stato nel recente passato per green e come, negli ultimi 10 anni, lo è stato bio.
Il richiamo è facile: se un prodotto è sostenibile, è buono per chi lo consuma ed è buono per l’ambiente. Si può desiderare qualcosa di meglio? Basta che sia vero!
Grazie al web abbiamo a disposizione una mole enorme di informazioni. Potremmo perderci o trovare indicazioni completamente contraddittorie se rimaniamo in superficie oppure potremmo, con buona volontà e impiego di tempo, provare ad approfondire. Non deve spaventare l’impegno se vogliamo essere consapevoli e se ci sentiamo responsabili dei nostri consumi, delle nostre azioni, pensando al loro impatto sull’ambiente. Sicuramente è più agevole confrontarsi con le pubblicazioni di grandi istituzioni a cui possiamo riconoscere il ruolo di “faro”: ne citerò una fra tutte, Greenpeace, che su tantissime questioni ha fatto lavori encomiabili. Per esempio il recente report di Greenpeace International It’s the finance sector, stupid, in cui si indaga l’esposizione finanziaria di banche e fondi pensione verso società di combustibili fossili. E questo per quanto riguarda la conoscenza. Per le azioni quotidiane e le scelte ci si può affidare ai lavori di enti e associazioni che fanno riferimento ai valori di equità e sostenibilità che ci interessano: tutti i Distretti di economia solidale hanno avviato percorsi di conoscenza diretta di fornitori di beni e servizi con cui si può entrare in contatto tramite i gruppi d’acquisto, le fiere e i mercati.
Mi rendo conto che sto dando un’altra indicazione che prevede profusione di impegno e impiego di tempo. D’altro canto se si fa la scelta di muoversi nel mondo dell’economia solidale e non in quella di mercato, si rimane senza il carrello della grande distribuzione, per dirne una.
Il Distretto di Economia Solidale della Brianza per esempio ha un progetto che si chiama Mi Fido di Noi in cui le persone possono scambiare tra di loro oggetti, conoscenze e competenze attraverso un sistema di scambio che utilizza il Fido come moneta. Lo stesso Distretto aderisce all’associazione Co-energia che sostiene progetti in ambito di sovranità alimentare ed energia rinnovabile.

D. Se dovessi indicarci un elenco di 10 azioni a cui tutti noi, ma proprio tutti, possiamo attingere per dare un contributo quotidiano qui e ora a Villasanta, quali segnaleresti?
R. L’elenco può iniziare dalle famose R

  1. Riduciamo la quantità di oggetti che possediamo (il trapano si può
    chiedere in prestito, una maglione può bastare anziché tre, l’astuccio può durare per tutto un ciclo di studio se non è rotto), riduciamo i consumi. Per quanto riguarda i consumi elettrici il buon senso e la volontà possono portare lontano: preferiamo la bassa temperatura dell’acqua per i lavaggi, spegniamo gli apparecchi anziché tenerli in standbye, spegniamo le luci.
  2. Riusiamo ciò che abbiamo in modo da allungare il più possibile la vita di quello che possediamo; quando non utilizziamo più qualcosa o cerchiamo qualcosa usiamo i sistemi di scambio, il baratto o i centri del riuso. (n.d.r. citiamo il centro di Vimercate panta rei)
  3. Ricicliamo, cioè facciamo una raccolta differenziata correttamente eseguita, in modo che ciò che non può essere condotto al riciclo sia una quantità di materiale estremamente ridotta. Ricordiamoci però che anche il riciclo richiede pur sempre energia e perciò è necessario ma non sufficiente. E poi…
  4. Beviamo l’acqua del rubinetto.
  5. Acquistiamo ciò che non ha confezioni e imballaggi (o ne ha il minimo necessario)
  6. Limitiamo il consumo di carne.
  7. Andiamo a piedi o in bicicletta per gli spostamenti urbani. Prediligiamo i mezzi pubblici o la condivisione dell’automobile per gli spostamenti che non permettono l’utilizzo della bicicletta.
  8. Disaffezioniamoci agli oggetti usa e getta
  9. Impariamo a riparare o cerchiamo chi ripara le cose.
  10. Diamo fiducia agli altri.

C’è un libro di Caserini (sopra citato), Il clima è (già) cambiato (nella nuova edizione 2019), che presenta un elenco di addirittura 101 azioni per aiutare a contrastare i cambiamenti climatici. Ne possiamo attingere a piene mani per aumentare il nostro personale contributo e sentirci parte di un cambiamento non procrastinabile.

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