il significato della memoria

Curt dal Popul

Nel cuore del paesello:  via Confalonieri,  fra la chiesa e villa Camperio. Davanti ci si spalanca un androne che introduce a un cortile importante. E’ evidente, siamo usciti sia dall’ambiente agricolo che da quello legato all’utilizzo delle acque a fini economici. Qui ogni massaia si lava solo la propria biancheria.

La Curt dal popul e come lei tutte le altre che si specchiano sull’asse Confalonieri/Mazzini/Da Vinci, cioè dire si affacciano sulla Statale 36, sono nate per la strada; le fanno ala. A quel passaggio di persone e di cose, legano una parte essenziale  dei propri commerci.

Il colpo d’occhio, in questi primi anni ’50, la dice lunga: ci accolgono un prestinaio (la Cecca), una salumeria (Tranquilén) accanto a un bar (Giuann Ross) e  un parrucchiere per uomo (Ricu barbée). Dall’altro lato della strada, proprio di fronte; un’officina per biciclette (Gilard Montrasio), la Macelleria Nava e la sartoria Ornaghi. Tutto in un fazzoletto di terra.

Curt dal Popul negli anni ’80

Non è poi passato molto tempo da quando i carrarmati nazisti scivolarono su quel porfido, in arretramento verso nord, cercando la Svizzera. E anche l’ultimo convoglio dei Rùée da Missaglia ha smesso di fare la spola su e giù per Milano: i cavalli non ne potevano più di quella pena, e di una strada che gli usciva dagli occhi.

La seconda Guerra mondiale aveva indotto anche questo cortile di ringhiera a rifugiarsi nel clima di comunità solidale. Stretta alleanza di sussistenza fra famiglie;  figli di tutti; gli usci di casa pronti a condividere paure e drammi. Porte spalancate tutto il giorno, socchiuse solo al buio.

All’improvviso  il tempo aveva impresso un’accelerazione:  il Liberi tutti stappava voglia di libertà. Beh certamente, non solo nella Curt dal popul ma noi adottiamo lei come grande protagonista di quell’eccitante decollo.

Le statistiche dicono che nel censimento del 4 Novembre 1951, in paese vivessero 7144 anime (3679 donne più 3465 uomini), mentre al 31 luglio del ’58 il numero complessivo fosse salito a quota 7704. In quelle corti e in due locali (cucine al piano terra e camere da raggiungere al piano sopra, per scale esterne), vivevano famiglie numerose: tre, quattro, cinque figli e, per quanti fossero, ce n’era per tutti.

I cognomi, manco a dirlo,  si sovrappongono e per distinguerli servono i soprannomi: ci sono i Bramati (Palancòn e Lùisen) i Cambiaghi (Scepàda e da Efa), Vittorio Cazzaniga (Ferarèssa). Guido Guzzi, Rosalia Maggioni,  i Confalonieri, i Levati (Fius) i Colombo,  Pio e Irene Zappa, i Pontiggia, una famiglia di Oggioni, gli Ancri (Carmèl), i Pozzi, ciascuno con il proprio nomignolo identificativo.

1985

Stagioni elettrizzanti; il paese vive sei giorni su sette con orari scanditi dal suono delle campane e le sirene delle officine dettano i ritmi. Per strada, nelle ore di punta, è un brulicare di tute blu e grembiuli neri; forza lavoro per questo ricco ventaglio di opportunità:

Candeggi: “Ambrogio Radaelli”, “Rossi Simeone” “ Rodolfo Piazza” “Lorenzo Rossi” e poi arriverà “Crippa” a san Fiorano. Stamperia “Arcobaleno”. Nastrifici:  “Cambiaghi”, “Brioschi”, “Daelli”. Raffineria “Lombarda Petroli”; Oleificio “Tornaghi”; Scatolificio “  AntonioPessina”; Calzaturificio “Cereda”; “Guido Tagliabue” riduttori. Comparto metalmeccanico “Colombo Agostino” “Colombo & Cremona”  “Sorelle Fontana” “Angelo Cremona” “Ambrogio Galli” “Galli Alfredo” “Dell’orto & Chieregatti”. Cotonifici, “Carozzi” , “ Aldo Rossi” e “Villa San Fiorano” Tronconi.

Per fermarci ai marchi di fabbrica più rilevanti. Sorvoliamo su tutto il settore artigianale che è in rapido sviluppo, così come l’indotto, il terziario professionale e commerciale. Infine c’è la rete di negozi al dettaglio con le vecchie osterie che si trasformano rapidamente in bar per accogliere un nuovo cliente il quale, avendo a disposizione un potere d’acquisto mai conosciuto, sta rapidamente mutando stile di vita.

All’improvviso arrivano le prime televisioni, dei cassettoni pesantissimi da cui esce il suono affascinante di un altro genere di sirena: il mondo si mette a girare vertiginosamente.

Siamo nettamente al di là della piena occupazione, importiamo forza lavoro e facciamo, modestamente, la nostra porca figura nel  triangolo Monza/Sesto/Milano che sta mettendo le ali all’Italia del  boom economico.

Grazie alla cortese collaborazione di Antonia Spreafico e Claudio Centemeri.

LA CLASSE OPERAIA VA IN PARADISO

I rùée da Missaglia

Ogni giorno lavorativo è molto lungo, cadenzato, funziona a ondate: Dalla primissima mattina a sera inoltrata ritmi intensi, gesti meccanici e fatiche che si stampano sulla pelle.

Prima delle cinque di mattina, escono dagli stallazzi i Rùée da Missaglia, direzione Milano. Dovete figurarvi cinque, otto, dodici carri agricoli di quelli con sponde e grandi ruote a  raggi di legno. In fila indiana, trainati da ronzini già logorati dal percorrere per la millesima volta il solito maledetto avanti e indietro dalla stalla alla Madonnina.

Arrivati in centro città, i loro padroni passeranno di cortile in cortile a raccogliere rifiuti indifferenziati, li caricheranno fino all’impossibile sui carri prima di infilare la via del ritorno.

Poi che sia Missaglia o Camparada, Usmate o Cascina Bracchi, tutto quel ciarpame verrà vagliato dalle donne sull’aia. Si tratterà di separare metalli, vetro, cianfrusaglie (che poi verranno venduti come rottame), dal resto dei rifiuti e spargere nei campi come concime ciò che resta.

La grande nevicata del 1985

E’ una civiltà del lavoro che, vista con lo sguardo d’oggi, rasenta la follia. Al contrario, questi brianzoli si erano guadagnati la fama di accurati netturbini e ripulitori di cortili; costituendosi addirittura in una associazione riconosciuta che cesserà le attività solo all’inizio degli Anni ’60.

Lo spettacolo (commovente?), che rimane negli occhi è quello del ritorno di questi convogli. A metà pomeriggio, ancora e sempre in fila indiana, quei poveri cavalli stremati dalla fatica, trascinavano lentamente a casa carri stracolmi, con in cima il cavallante che, a sua volta sfinito, dormiva stramazzato sopra il telone. Fantastico: i cavalli tornavano alla propria stalla a memoria.

Villasanta – Sesto – Villasanta

Seconda ondata; ore 5,30 circa. Le osterie che danno sulla Statale 36 sono tutte aperte. Luci accese.

Specialmente le tabaccherie. E’ in pieno svolgimento la quotidiana tappa ciclistica per lavoratori  che va da Villasanta a Sesto San Giovanni. Vi prendono parte svariate decine di turnisti da ferriera, poco importa se si tratti di Falck, Breda, Marelli o affini. Alle sei e mezzo comincia il turno e sarà utile pedalare.

Però una decina di Nazionali e un Grigioverde, Dio santo, potrebbero sollevare il morale. Di fatto, diversi tabaccai sono lì per quello: fare da rifornimento fisso su quella strada sempre uguale. Ma facciamo un passo indietro, anzi due.

DICESI GRIGIOVERDE: Un alcoolico ad alta gradazione, la grappa Tre Stelle mixata con menta, che gli dona quell’aroma più penetrante; la sensazione di avere fatto il pieno di energia. A Sesto ci arrivi di volata, il freddo non lo senti e quando metti giù la bicicletta ti viene ancora da nitrire.

bicicletta Berwil

BICICLETTA BERETTA, SOTTOMARCHE BERWIL O WILBER. Ovvero la garanzia del mezzo tecnico.

L’ultimo residuo dei Beretta ciclisti è ancora lì, all’angolo Vespucci/Farina e secondo me merita di essere custodito come un monumento. Per cinquant’anni, forse di più, lì hanno costruito, riparato, venduto biciclette a tutta Villasanta con una cura degna solo di quella generazione. Biciclette dall’ineguagliabile rapporto qualità/prezzo. Furgoncini su cui i nostri nonni hanno caricato sudori e speranze prima, durante e dopo la Grande Guerra.

il Beretta Ciclisti oggi

Assetto completo del pendolare siderurgico. Il mezzo, come abbiamo detto, era in sé molto affidabile. Per prudenza, tuttavia, alle estremità dei parafanghi, si aggiungevano due ulteriori protesi in gomma per azzerare del tutto la possibilità di sollevare fango e schizzarlo sul ciclista. La versione top class prevedeva freni a bacchetta e sellino molleggiato. Il fanale anteriore poteva funzionare ancora a carburo (produzione 1940), oppure giovarsi di un moderno caricatore dinamo che faceva attrito sulla gomma anteriore. Quanto al retro non era previsto alcun catarifrangente.

 Sul canotto, naturalmente ben stretta, una cartella in fibra che conteneva la schiscetta , eventuale spolverino impermeabile ed altri generi di conforto. Questi uomini che andavano verso Sesto, di norma viaggiavano in gruppo sostenendosi a vicenda ma, come avete capito fino in fondo, in queste vite c’è assai poco da ridere. Grande rispetto per quei lavoratori, per le loro fatiche e per quanto ci hanno lasciato.

Il vecchio Palmolive

Senza una clèr abbassata né un disoccupato in giro, sulla Statale 36 il progresso lo vedi avanzare in modo travolgente. Spariti carri e cavalli, anche le Beretta accompagnano finalmente pedalate più divertenti.

Il concetto di inquinamento è pressoché sconosciuto, tant’è vero che noi incoscienti ci mettiamo a rincorrere quei grossi camion della Fiat, a muso lungo, che rilasciano rumori e afrori inediti (sì, incredibilmente, gli correvamo accanto per annusare gli scarichi che uscivano dagli scappamenti…).

In questa sarabanda di traffico circola ancora qualche Dodge residuato bellico che, dal fumo che emette, dovrebbe funzionare a carbone.

Tutto è stracolmo, eccessivo, sgangherato. Persino indecente il carico umano che va e viene dalle ferriere di Sesto. Lo sanno anche i bambini, ormai: quelli targati Peroni vanno verso Vimercate-Trezzo mentre gli altri, i Salvatore Dell’Oca sono diretti ad Arcore, Casatenovo, Barzanò, Oggiono.

Denominatore comune, il sonno. Dormono all’andata, alle sei di mattina quelli del primo turno. Stramazzano esausti quelli che attorno alle sette di sera tornano a casa dopo il secondo turno. Le teste ciondolanti di lato, fluttuano all’unisono ad ogni ondeggiamento del pullman; a bocche spalancate l’alito di tutti (ul baff) opacizza i finestrini producendo immagini inquietanti.

Nel tentativo, vano, di ridurre la pena a questo ammasso quotidiano, l’Oggiono introdurrà pure un simpatico rimorchio. Niente da fare, l’effetto sardina non diminuisce; riuscirà soltanto a rendere ancora più stressante il superlavoro per il vecchio Palmolive, zelante bigliettaio, che saltabecca disperatamente da un mezzo all’altro alla caccia di tesserini-abbonamento da bucare.

Al gran ballo di tute blu e vestaglie nere

La terza ondata è domestica. Sei giorni su sette si replica il medesimo spettacolo.

Ore otto, dodici, tredici e trenta, diciassette e trenta. il paese affronta la convulsa invasione dei duemila lavoratori richiamati o sospinti dalle sirene. Sì, questo lungo ululato che evoca da vicino gli allarmi dei rifugi antiaerei della Seconda Guerra mondiale. Evidentemente hanno pensato di riciclarle ‘ste sirene e adesso le utilizzano per scopi meno lugubri ma, accidenti…

Comincia il Tronconi alle 7,55 e un minuto dopo parte la Stamperia. Prima delle 8 gli fanno eco dalle parti di via Vespucci fino a quando diventa un terribile coro in sottofondo. E’ ora di iniziare a lavorare per chi fa giornata. Le strade, tutte le strade centrali e periferiche, sono attraversate da flussi che si incrociano, in bicicletta a piedi, di fretta, in affanno: c’è chi abita a Sant’Alessandro e lavora dai Cremona, chi arriva da San Fiorano in direzione della Villa Vecchia. Tute blu, vestaglie nere,  donne e uomini tutti quanti protagonisti di un disordinato balletto che durerà lo spazio di dieci minuti. Poi tutto tacerà per quattro ore perché a mezzogiorno la danza riprende; si corre a casa a mangiare con l’imbuto. Poi di ritorno alle 13,30 per concludersi alle 17,30.

 Per anni. Tutti i santi giorni salvo le domeniche;  là saranno le campane a dettare i ritmi delle anime, con familiari tonalità metalliche.

Un ringraziamento per la collaborazione a Centemeri e Spreafico e per le immagini a Michele Pellegrino e a Bartolomeo Ferrara per quelle tratte dal libro Immagini ritrovate.

7 Comments

  1. È una storia che non mi appartiene, ma interessante comunque…

  2. Bellissima lettura… tanti ricordi di racconti ripetuti dai miei genitori e dai nonni, nostalgia di un tempo passato dove ” si stava peggio ma si stava meglio”. grazie mille.

  3. mio Padre e i miei fratelli facevano parte di quei balletti. Io li vedevo andare e venire dal lavoro a mezzigiorno e alla sera. Credo che sarebbe bello un capitolo su Don Angelo e l’Oratorio, Ciao bravo Franco.

  4. Bellissimo potresti riscrivere la storia di Villasanta, complimenti mi aspetto altri pezzi di storia

  5. Complimenti.
    Sono ringiovanito di settanta e rotti anni!

  6. Complimenti, grande FRANCO,

  7. veramente bello lo rileggerò con i miei nipoti

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