personaggio

Luigi che ride sottovoce

Perdiamo anzitempo un altro compagno che ha coerentemente vissuto dalla parte del torto.

E’ il silenzio la reazione più immediata alla notizia. Un silenzio nervoso, che lotta contro l’ineluttabile e spazza via ogni altra riflessione. Sì. Luigi era malato, ultimamente peggiorato, era tornato alla casa dei familiari dove, diceva, avrebbe riposato di più.

La notizia era nell’aria. Il male era diffuso ma lo sguardo di Luigi, il suo linguaggio e, soprattutto il suo sorriso appena accennato, lasciavano ampi spazi alla fiducia. Invece è andata nel modo peggiore. Perdiamo Luigi Maggioni, Gino per gli amici, che a soli 68 anni si spegne nel letto dove ormai si praticano cure palliative. Una sentenza durissima.

Luigino Maggioni probabilmente la traiettoria della sua esistenza l’aveva ereditata fin dal primo giorno. Nascere, ultimo di sette figli, nella famiglia di Giacomo e Maria costituiva una scelta di campo assoluta. Non serve essere nativi di Villasanta per conoscere i valori etico-culturali di tutti i componenti di questa famiglia. Un “imprinting morale” che ha formato senza eccezione esempi, parole e soprattutto atti concreti che hanno messo in rilievo il ruolo di questa famiglia nella nostra società, per lo meno nella seconda parte del secolo scorso.

Luigino, classe ’52, era l’ultimo di sette, dicevamo. E certamente il più monello. Ma il Dna era quello; mamma Maria lo serviva a cena nella minestra. Quindi le prime uscite di questo piccolo monello di dieci anni, lo vedono alla guida di un furgoncino triciclo (ebbè, questo ve lo fate spiegare da papà), in giro per Villasanta a raccogliere masserizie, rottami e tutto quanto possa avere un secondo mercato, al fine di contribuire concretamente alla costruzione dell’oratorio maschile “San Giovanni Bosco” (questo lo conoscete, vero?).

L’ampia eco delle tesi discusse nel Concilio Ecumenico “Vaticano II”  mettono in moto un po’ ovunque fermenti di “Cattolici di base” e quando verranno pubblicate le “Lettere a una Professoressa” di don Lorenzo Milani, si apre l’alba del ’68.

Qui da noi, sul sagrato di Sant’Anastasia, si forma un nucleo di adolescenti tenuti insieme dal desiderio di dare concretezza alla propria fede. Sono eredi orfani di Papa Giovanni XXIII, non gli basta l’Azione Cattolica, Gioventù studentesca è troppo accademica, Comunione e Liberazione non è ancora apparsa. Cercano un’interlocuzione con il vecchio don Giacomo e quando fa in po’ freddo mettono sciarpe rosse. Sono le “Sciarpe rosse”! Traduzione popolare di cosa dovrebbe significare essere cattolici.

Manco a dirlo Luigino è in mezzo a loro. Ed è in quel gruppo che si alimenta una dinamica radicale, esigente, diciamo estrema al punto che Villasanta non la può accettare. E per qualcuno inizia qui la parte più dura del proprio cammino: vivere dalla parte del torto.

Luigino intanto è diventato un bravo elettricista, già: “Primum vivere, deinde…” va avanti e indietro dalla Ercole Marelli di Sesto dove si è formato una coscienza sindacale che si sovrappone perfettamente alla sua maturità di cattolico del dissenso. Vivrà gli anni della rivendicazione dei diritti, della conquista dello Statuto dei Lavoratori e delle prime, allucinanti innovazioni tecnologiche in campo elettrico. Finchè una sera mi chiama e mi dice: “La Ercole Marelli chiude!”

Faremo notte nel cercare di accettare la prospettiva che da “tuta blu” Luigino possa diventare un piccolo imprenditore di se stesso; un piccolo artigiano, certo. Una pazza idea che andava nettamente al di là delle sue visioni…

Invece l’aziendina partì e Luigino, in compagnia di un socio, la vide crescere e svilupparsi, senza che tutto ciò potesse costituire uno “scandalo” o macchiarne di vergogna il curriculum etico.

Ovvio che il tutto era condotto e governato secondo gli antichi e sempreverdi dettami di Casa Maggioni perché, su quei principi di giustizia sociale, solidarietà, quando non espressamente aiuto materiale, non si è mai derogato.

Poi il matrimonio e la famigliona che ne è conseguita: quattro figli che, anche qui, danno tanto conferma di “Famiglia Maggioni”. Il riaffiorare dell’antica passione per la Montagna; le escursioni con il C.A.I. fino all’ultima esaltante conquista; il Camper con cui portare in montagna tutti quanti.

Nel frattempo aveva perfino trovato la voglia di accettare l’incarico di presidente del parco pubblico La Ghiringhella di via Buozzi.

Rimanevano sullo sfondo, insopprimibili, gli scambi d’opinione di politica, locale, nazionale, globale ma, vi assicuro, nulla che si potesse archiviare banalmente come “massimi sistemi”.

E qui la nostra amicizia si cementa; scopriamo di avere idee molto simili e, contemporaneamente, facciamo incetta di sconfitte e squassanti delusioni.

Una reciproca confessione infinita, a viso aperto, senza assoluzione finale.

Avevamo scelto di vivere dalla parte del torto in una società che ci ha portato fin qui e, che a volte ci costringe a vergognarci. Questo è.

C’era ancora tempo per la speranza. Perché era chiaro che il buon senso, alla fine, avrebbe conquistato lo spazio che merita. Perché i valori di papà Giacomo erano buoni ottant’anni fa ma oggi sono persino migliori. Ci doveva essere tempo per guardare il futuro di questo nostro pianeta.

Ma il silenzio oggi è troppo forte; deve fare ancora il suo tempo. Ciao Luigi.

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