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Alessandro Varisco. Dalla Falck a Gusen

La Cascina sant’Alessandro di oggi conserva qualcosa di quel che era ieri, con i grandi portici di ingresso e i balconi delle case rivolti verso il cortile interno; prima era tutto prato e qualche seggiola per trovare riposo all’ombra di un grande pino. Mia nonna è nata e cresciuta qui e così anche mia mamma e, infine, io. È il tipico posto che penseresti lontanissimo dalla guerra. Quella guerra che nelle sembianze di un ufficiale della Questura in uniforme il 23 marzo 1944, non trovandolo a casa, raggiunse Alessandro Varisco per scortarlo fuori dalla sede sestese della Falck. La moglie Emma e la figlia Gianna, di appena un anno, non lo rividero mai più. 

La pietra d’inciampo, che verrà posata alle 10.30 di sabato 1 febbraio in Piazzetta sant’Alessandro, restituirà alla Cascina un pezzetto della propria storia. 


Stolpersteine (che si traduce, appunto, pietre d’inciampo) nasce dall’idea dell’artista tedesco Gunter Demnig, come stimolo per la costruzione di una coscienza collettiva: un sampietrino ricoperto di ottone, da posare davanti alla casa dei deportati, per commemorare e riflettere. Questa importante iniziativa di memoria è approdata in provincia di Monza e Brianza tramite il Comitato Pietre d’Inciampo a cui ha aderito il Comune di Villasanta insieme ad altri 18 della provincia. 

Se è vero che la storia ci consegna la mappa delle strade da percorrere (e da evitare), è vero anche che la natura umana spesso è portata a non servirsene, e finisce col perdersi. Queste pietre, disseminate sul nostro cammino, hanno l’ambizioso obiettivo di opporsi all’oblio di ciò che è stato e non dovrà più essere. Inoltre, ci permettono di constatare quanto facilmente una certa ideologia nazi-fascista possa passarci accanto, cambiando per sempre il corso di una vita. In questo caso, siamo a ricordare quella del villasantese Alessandro Varisco. 

Di lui rimane una foto e la sua storia è tutta da ricostruire: Gianna infatti aveva soltanto un anno e non ricorda molto, come ci ha confermato la nipote, Monica. Sappiamo che l’allora trentatreenne è nato il 12 giugno 1910 a Villa San Fiorano e dal 25 gennaio 1937 ha lavorato come operaio forgiatore alla Falck Unione Forgia di Sesto San Giovanni.

Proprio tra l’1 e l’8 marzo del ’44 le grandi industrie siderurgiche e meccaniche della provincia di Milano e del nord-Italia aderirono ad uno sciopero dai connotati fortemente politici. Infatti, le proteste sorte nel 1942 per la carenza di cibo e contro i licenziamenti, divennero 2 anni dopo scioperi con finalità principalmente antifascista. Con il coinvolgimento di fabbriche come la Breda, la Falck, la Magneti Marelli e Pirelli, lo sciopero del marzo 1944 ha costituito la più grande protesta pacifica inscenata in un territorio occupato dai nazisti. L’adesione a queste azioni costò ai lavoratori coinvolti il medesimo destino toccato al nostro concittadino: vennero prelevati dalle loro abitazioni nelle ore notturne, per poi essere condotti al “braccio tedesco” di San Vittore, per motivi di pubblica sicurezza.

Solo alla Falck, si contarono 93 deportati, di cui 41 provenienti dalla Falck Unione Forgia. Alessandro Varisco fu uno dei 25 che non sopravvissero alla deportazione. Dopo un breve passaggio dalla caserma Umberto I di Bergamo, il 5 aprile 1944 fu caricato su un convoglio diretto verso Mauthausen, che arrivò a destinazione l’8 aprile. Alessandro, a cui fu assegnato il numero di Matricola 61773, vi rimase fino al 28 aprile, quando fu trasferito nel sottocampo di Gusen. I documenti ufficiali fissano la sua data di morte al 28 febbraio 1945, ma due compagni di deportazione, Paolo Crippa e Ugo Campagna, hanno dichiarato che Alessandro morì di deperimento il 15 marzo 1945. 

Lapide di via Mazzini, Falck Unione

Ricordare è fondamentale perché la memoria è fragile e trova un primo grande ostacolo nel tempo che scorre. Chi era presente passa il testimone a noi, che dobbiamo essere allenati per consegnarlo a chi verrà dopo. Il mio prozio, cresciuto a poche porte dalla sua, ricorda come Alessandro non temesse mai di dire ciò che pensava; nemmeno quando si trattava di opporsi ad una causa che non era la sua. Quella libertà che rivendicava è la stessa che oggi spesso sottovalutiamo; ed è proprio “inciampando” nel ricordo di un sacrificio, che possiamo trovare un valido motivo per non dimenticare

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