La notizia è giunta squassante, aspra come sempre quando si tratta di lui. E stavolta sarà purtroppo l’ultima.
Ernesto Maggioni è venuto a mancare la scorsa notte a Curino, nel biellese. Nella comunità che lui stesso aveva trasformato in un Centro motore dell’Operazione Mato Grosso nel Nord Italia.
Ci lascia così, repentinamente, uno dei più preziosi ragazzi di Villasanta che nelle varie stagioni della propria vita, quale che fosse l’ambiente, il clima, lo scopo cui tendere, ha sempre fedelmente seguito la bussola di una fede operosa che ha solo sfiorato la consacrazione per finire ad essere ancor più consacrata in una impareggiabile coerenza.
Sesto di sette fratelli, era nato nel ‘47 in casa di Giacomo Maggioni e Maria Montrasio. Famiglia di lavoratori profondamente cattolici, si reggeva su ideali di vita non discutibili tant’è che, dal padre all’ultimo dei figlioli, Luigino, tutti avevano trovato spazio nell’impegno volontaristico, in varie forme; civili e legate alla solidarietà umana.
Ernesto, per ragioni anagrafiche, vive giovanissimo il messaggio innovatore di papa Giovanni XXIII e lo concretizza molto presto secondo una propria spontanea inclinazione. La poliomielite che lo aveva colpito ancora bambino, ne condiziona il dinamismo fisico ma la capacità di progettare, di fare gruppo e inseguire obiettivi gli affida un ruolo di traino. L’oratorio è l’ambiente più favorevole alla realizzazione dei “mille frammenti di felicità” che già allora apparivano legati tra loro da un valore; l’amore incondizionato per il prossimo.
È questa carica adolescenziale che trasformerà la fede di un piccolo gruppo in una energia propulsiva che finirà per dare fastidio in parrocchia. Siamo nella seconda metà degli anni ‘60, Ernesto è nel fitto nucleo di ragazzi che staziona sul sagrato della chiesa di santa Anastasia. La zia di Claudio fa la magliaia e decide di regalare una sciarpa a ciascuno di quei ragazzi, Non si è mai capito perché le abbia fatte tutte in lana rossa.
Spesso però, nel tempo, la coerenza può diventare un concetto soggettivo e l’unità d’intenti del gruppo via via si lacera; cambiano le età, gli sguardi, gli orizzonti. Le “Sciarpe Rosse” smarriscono lo slancio originario. Ernesto troverà quasi per caso una proposta appena venuta alla luce: un’organizzazione “cattolica” che sta prendendo forma grazie all’impegno di don Ugo de Censi, un sacerdote valtellinese che ha deciso di fare affluire aiuti umanitari alle popolazioni dell’ America latina mediante attività di volontariato. La conseguente raccolta fondi qui in Italia, servirà a finanziare operazioni di sviluppo civile, sociale e in particolare scolastico dell’Ecuador, in un primo tempo per poi espandersi in Bolivia, Colombia e soprattutto nei vastissimi territori popolati dalle popolazioni amazzoniche.
Sarà una autentica rinascita per Ernesto: il matrimonio, i figli e soprattutto il visionario progetto di adottare un cascinale in degrado nella campagna biellese, farne la casa di chi si senta di condividerne gli scopi e trasformarlo in una ventina d’anni nel centro direzionale dell’Operazione Mato Grosso nell’Italia del Nord.
Anni fa ci siamo visti proprio lì, a Curino, una domenica d’estate: Ernesto con i suoi baffi e la pipa in bocca sembrava un autentico patriarca della povera gente. Una tribù di provenienze varie.
Lui era felice di incontrarci, era evidente, poi, verso mezzogiorno saltò fuori non so da dove una tavolata attorno alla quale ci accomodammo in una dozzina circa; facce giovani, sorrisi sconosciuti e porzioni di pasta al pomodoro che ti passavano sopra la testa. Ernesto si divertiva: “Beh, per la verità avrebbero dovuto arrivare altre quattro persone. Prima o poi arriveranno e se avranno fame penseremo anche a loro…”
Eravamo precipitati in un caos assai poco artistico. Prendemmo il guinzaglio di un cane che in apparenza stava buono e ci allontanammo nel bosco.
Per noi quell’Operazione Mato Grosso era pura follia. Per Ernesto invece il sapore di una pienezza che meritava di essere vissuta. Un abbraccio, amico mio. Nulla andrà perduto.
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