Un libro divertentissimo, il più intrigante fra quelli di Raymond Queneau, un invito alla creatività “intellettuale”, capace di applicare alla stessa banalissima storia diverse figure retoriche, diversi stili appunto. Un erudito libro-gioco, non a caso apprezzatissimo da Umberto Eco che curò la traduzione e l’introduzione dell’edizione, con testo a fronte, che qui presentiamo
Recensione di Laura Cesana
Dunque si parla di un autobus della linea S in un’ora di traffico e di un successivo incontro davanti a una stazione ferroviaria, per la precisione davanti alla Gare Saint-Lazare, che per tutto il libro non verrà mai tradotta, conserverà il suo nome francese e la sua indelebile impronta parigina.
Ma chi c’è sull’autobus, insieme a una folla di passeggeri, uno dei quali sembrerebbe spingere ripetutamente il suo vicino?
C’è – per l’appunto – un uomo giovane con vestiti bizzarri, oggetto di sgradevoli urti, animato dalla volontà di procurarsi ad ogni costo un posto a sedere e successivamente destinatario del suggerimento di un amico di aggiungere un bottone al suo cappotto.
Come, tutto qui? Sì, tutto qui ma raccontato – da quello che in letteratura viene chiamato il narratore esterno – in 99 arguti, colti, eruditi, inaspettati, esilaranti modi diversi.
Sono gli Esercizi di stile di Raymond Queneau, nell’edizione Einaudi con il testo francese a fronte e la traduzione/ricreazione di Umberto Eco.
Scritti nel ’47 e in parte riveduti nel ’69, restano un capolavoro sulle possibilità della lingua di creare una situazione, di illuminarla da una quantità di angolazioni, da darle e toglierle significato.
Queneau lo fa ricorrendo a 98 figure retoriche – oltre alle Notazioni iniziali con le quali delinea la scena base – che rappresentano altrettante chiavi di rappresentazione e di giudizio su un fatto banale, come quelli che possono accadere ogni giorno a ognuno di noi.
Sulla S, in un’ora di traffico. Un tipo di circa ventisei anni, cappello floscio con una cordicella al posto del nastro, collo troppo lungo, come se glielo avessero tirato…
La lettura è divertente ma non facilissima, bisogna accettare una vena di intellettualismo scherzoso ma – forse ancor di più in questi giorni lenti e preoccupati, in cui autobus affollati e contatti ravvicinati
sono da evitare – vale la pena di impegnarsi. Per questi motivi:
1) per l’opera stessa e per il piacere che può darci
2) per esplorare il linguaggio in tutte le sue giravolte e i suoi anfratti
3) per riflettere sulla traduzione, i suoi problemi e i suoi “tradimenti”
4) per portare con sé un pizzico di buonumore e di scaramanzia nel caso in cui un mezzo pubblico non si possa proprio fare a meno di prenderlo.
Umberto Eco nell’Introduzione – che è bene considerare come una premessa indispensabile e illuminante – ci preavverte di tutto ciò che incontreremo leggendo e si rammarica che gli esercizi siano
solo 99, ne avrebbe voluti 99.000!
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