personaggio

Carissimo, indimenticabile “Lola” Fossati

Il mio viaggio accanto a Giancarlo Fossati inizia nella polvere, di calci al pallone con piedi ruvidi e una voglia matta. Lui è tre anni avanti d’età ma dieci in fatto di grinta. Sì, apparteneva a quella tribù speciale e qui in paese come altrove molto nutrita, di ragazzi buoni come il pane, i quali, appena indossata una casacca e vista la palla al centro, quale che fosse la posta in gioco diventavano gladiatori.

Difensore d’istinto, gran corsa ed energia, piede forse non raffinatissimo ma indomabile tigna, Giancarlo era germogliato in un vivaio nel quale gli echi del “Santa, toro della Briansa” risuonavano ancora. Sì, nella prima metà degli anni ’50 il Vecchio Cuore Azzurro era anche arrivato a confrontarsi con i cuginetti del Monza, in serie C. Negli spogliatoi aleggiava ancora un fresco profumo di gloria.

Giancarlo, già accompagnato dal suo personalissimo nomignolo di “Lola”, di matrice ingenua e inspiegabile come altri mille, si mette in luce nelle interminabili corride che vanno in scena domenica dopo domenica   coinvolgendo le prime formazioni dell’oratoriana Cosov.

Giancarlo Fossati dopo una vittoria

Con lui e tutt’intorno cresce una nuova generazione di calciatori da cui usciranno i ragazzi del “Santa”; dell’Associazione Calcio Villasanta. Talenti e volti tutt’altro che banali, in un paesello che, come mi piace ripetere, in quegli anni produce in grande copia “Presse meccaniche, giocatori di calcio e splendide ragazze”.

Di questa prima fase della traiettoria calcistica di Giancarlo Fossati, mi rimane un fantastico flash: seconda metà degli anni ’60, il “Santa” è in Promozione e riceve la visita del Meda, incontrastato leader di classifica, lanciato verso la Serie D. Le tribune di via Vittorio Veneto tracimano pubblico. Da notare che la capienza è ancora allargata alla tribuna di fronte, quella che oggi si troverebbe sul lato di via De Amicis e qualche anno dopo verrà tolta di mezzo. Ci saranno perlomeno tremila spettatori e il clima è caliente anzi torrido.

 Gli Azzurri reggono la propria fama su un baluardo difensivo formato da tre terribili “bastardi fatti in casa”: Beppe Pennati, Angelo “Crapa Rusa” Brambilla e Giancarlo Fossati, appunto. Il match scivola via su un malfermo pareggio in una bolgia di fischi e di boati quando, alla metà del secondo tempo o giù di lì, l’ala sinistra del Meda viene imbeccata da un lancio “sulla corsa”. Quel numero undici è un dannato scattista ma dal lato opposto della fascia difensiva giunge l’ordine categorico di Beppe: “Dack! Dack!!!”. Giancarlo arranca sulle tracce dell’avversario; pallone e attaccante non so più dove siano finiti. L’incontro sì, quello me lo ricordo: resterà inchiodato sullo zero a zero.

Ma il curriculum calcistico di Giancarlo Fossati conobbe anche zolle più nobili di quelle di casa. Arrivò alla Falk Vobarno, nel Bresciano, a un passo dal calcio professionistico e, come spesso è fatale in questi racconti, la jella lo fermò per infortunio la vigilia del successo.

Quello fu il giorno in cui la passione per il calcio divenne un sentimento da condividere. Giancarlo passava dal campo alla panchina, con diverso sudore ma con le stesse emozioni di sempre.

Ci ritrovammo a Monza, via Manzoni, entrambi sorpresi di guadagnar pagnotta, strano a dirsi, attorno alla carta stampata; lui tipografo alla Modernografica, io, poco lontano, al “Cittadino”.

La nostra amicizia, da quella casualità trasse ulteriore spessore,  la sua gioia schietta il suo biglietto di presentazione.

 Il calcio? Beh un amore che può anche avvizzire, deluderti, ma non riesci ad abbandonarlo.

Il cuore, quello sì a volte; una ventina d’anni fa, mi dicono, ebbe un cedimento improvviso, molto grave ma Giancarlo, grazie a medici di grande classe, se la cavò. Ha vissuto appieno ed ha conosciuto lunghi anni di serenità. Questo dono lo ha accompagnato sino alla fine, alla soglia degli ottant’anni.

Ti ho voluto bene anch’io, Giancarlo e quello non era nemmeno fallo. Buon viaggio amico mio.

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