Casa dei Popoli

E a Villasanta arrivò il mare!

Dal 16 al 19 settembre si terrà, negli spazi di Villa Camperio (e non solo) di Villasanta, la terza edizione del Festival delle Geografie. Organizzato dall’Associazione La Casa dei Popoli con il contributo dell’Amministrazione comunale, il festival 2021 ha come tema il mare o meglio, come recita il titolo,Dove inizia la fine del mare.
Il programma, in fase di completamento, si presenta molto ricco e con nuovi format rispetto alle due edizioni precedenti: accanto alle presentazioni di libri, alle conferenze, ai corsi per docenti patrocinati da AIIG, alle visite guidate al Fondo Camperio e a splendide mostre fotografiche, vi saranno laboratori per bambini (a numero contingentato), installazioni multimediali, proiezione di corti cinematografici e, con la collaborazione del Circolo Amici dell’Arte, una mostra artistica diffusa lungo tutto il centro storico di Villasanta.
Ne parliamo con Alfio Sironi del comitato organizzatore del Festival.

D Alfio, dove inizia la fine del mare?

R. Bella domanda! Partiamo assumendo la domanda nel suo significato letterale; mi viene subito in mente la lunga diatriba che ha coinvolto per più 20 anni i paesi rivieraschi del Caspio: hanno discusso e litigato per decidere se quello davanti a loro fosse un mare o un lago, su come dividerselo, la tregua è arrivata l’anno scorso, quando hanno deciso che non si trattava né di uno, né dell’altro… insomma, siamo davanti a un tema complesso! Ovviamente, la domanda scelta quest’anno come titolo della terza edizione de “Il Libro del Mondo” non voleva e non vuole essere presa in senso letterale, l’abbiamo scelta per la sua natura provocatoria, quasi giocosa: sarà la sorgente da cui sgorgheranno nel corso di quattro giorni di Festival molteplici possibili risposte.

Idealmente il titolo connette il tema dello scorso anno (“Limiti, confini, frontiere”) con quello nuovo, interroga ancora sul nostro rapporto con lo spazio, con l’incontro di altri punti di vista, con l’ignoto al di là dell’orizzonte.
Vorremmo mettere il mare al centro, anzitutto: provare a cambiare il punto di vista “costiero”, che quantitativamente ha prevalso, immergerci, capire un mondo che consideriamo spesso come uno spazio blu che si interpone tra noi e le nostre vacanze, tra noi e le merci di cui aspettiamo la consegna, qualcosa su cui sorvoliamo in fretta.
In questa terza edizione vorremmo “prendere il largo” seguendo varie traiettorie: la prima è quella che ci porterà a guardare il mare come grande sistema vivente, a osservarlo nei suoi aspetti ecologici e oggi cruciali – dalle microplastiche, ai trasporti, alla pesca insostenibile – per il benessere dell’intero pianeta.
Seguiremo poi le “vie di fuga”: le rotte attraverso il Mediterraneo e altrove, lo faremo grazie al contributo di reportage, letteratura, fotografia e cinema. Perlustreremo itinerari storici e filosofici, cercando di osservare il mare nella sua valenza ambigua di confine e spazio d’incontro, nel passato come oggi. Infine, questa edizione avrà anche l’ambizione di portare “un po’ di mare in Brianza”, alleggerendoci le spalle dopo un anno veramente complicato.
Così non mancheranno le traiettorie evocative dell’oltremare, dell’altrove dei viaggiatori e dei turisti, a portarci un po’ di sogno…

D. E’ iniziato il Decennio del Mare delle Nazioni Unite. Fino al 2030 verrà messo in campo uno sforzo inedito per creare una nuova generazione di scienziati, professionisti, cittadini, imprenditori, politici che possano sostenere  lo sforzo degli Stati per realizzare l’Agenda per lo Sviluppo.
Ne parleremo con Franco Borgogno, uno dei giornalisti più sensibili e competenti sul tema. Perché la vita su questo pianeta è iniziata nel mare e nel mare ancora prospera. Verrebbe da chiedersi: fino a quando?
Pesca intensiva, plastica che, oltre a creare “nuovi continenti”, viene ingerita dagli animali marini ed entra nella catena alimentare umana… I Dieci anni dell’ONU basteranno per invertire la rotta?

R. La fotografia scientifica di questi ultimi dieci anni non lascia scampo: gli ambienti marini sono minacciati in modo irreversibile. Secondo dati 2015 prodotti dal WWF e dalla Società zoologica di Londra in 45 anni abbiamo perso circa la metà della popolazione ittica globale. Alcuni studiosi hanno parlato di “olocausto ittico”. Questo processo è imputabile a modalità di pesca insostenibili ma anche ad altri fattori: la rapida acidificazione degli oceani o la sempre maggiore presenza di plastiche: una recente stima conferma che entro il 2050 il peso delle plastiche presenti nei mari sarà superiore a quello dei pesci.
In qualità di organizzatori, sappiamo che il Festival è (anche) un momento di riflessione comune e che il nostro pubblico è un pubblico attento. Per questo partiremo da uno sguardo al mare come grande sistema vivente, un sistema che non conosce confini e ha bisogno di una grande assunzione di responsabilità collettiva. Cercheremo di dare ulteriori strumenti di riflessione grazie a chi, come Franco Borgogno, quotidianamente affronta queste tematiche, cercando la via migliore per renderle chiare anche ad una platea di non addetti ai lavori. Proporremo inoltre – è una novità di questa terza edizione – laboratori dedicati ai più piccoli. I bambini sono oggi efficaci portatori di un pensiero ecologico dentro i contesti familiari ed è giusto che trovino spazi loro dedicati nei giorni del Festival.
Due grandi fotografi come Marco Introini e Manuele Piccardo, invece, con le loro immagini daranno spazio al tema dell’erosione costiera, poco noto al pubblico, ma che riguarda molto da vicino i litorali italiani. Infine, confermeremo – in collaborazione con l’Associazione Italiana Insegnanti di Geografia – la presenza di un corso di aggiornamento dedicato ai docenti, perché riteniamo che la scuola debba giocare un ruolo centrale nella creazione di pensiero critico e comportamenti che prendano le mosse da presupposti scientifici.

D. Se la vita biologica è iniziata nel mare, la civiltà umana si è sviluppata via mare. Le persone, i popoli, persino i luoghi “si sono conosciuti” e incontrati (o scontrati) dopo navigazioni, traversate, spedizioni. Il mare è anch’esso un luogo fortemente antropizzato. Come verrà affrontato questo tema nelle giornate del Festival?

R. Il mare dal punto di vista dell’analisi storico-geografica è uno spazio “altro” che per tempo è sfuggito agli schemi ideologici dei poteri terrestri. Il suo studio è interessante perché, ridimensionando il peso delle storie politiche e di quelle nazionali, le loro distorsioni e i loro determinismi, ci offre un interessante punto di vista.
Lo spazio acquatico, visto all’interno dell’opera di costante umanizzazione messa in atto dalle popolazioni che hanno abitato le sue coste, diventa un contesto formato da diversità e da confronti, crea unità nella diversità, coinvolge gli spazi esterni, influenza le dinamiche e la vita degli entroterra, diventa una regione da studiare. Una regione che, come ci hanno insegnato le opere sul Mediterraneo di Braudel o di Horden e Purcell, offre un’altra via, un’altra cornice, per analizzare e capire il mondo.
Oggi tuttavia anche gli spazi marini sono in via di trasformazione e quella netta distinzione tra spazi terrestri presidiati dal potere e acque libere va riducendosi o diventa anzi uno dei tanti campi dove il concetto di confine trova nuova vita, genera nuove definizioni, nuovi diritti, nuove contese. Al Festival affronteremo questi temi grazie al contributo di due filosofi: Federico Leonardi, che torna a trovarci, e Claudio Fontana, docente al Frisi di Monza, istituto con cui il Festival ha avviato un proficuo rapporto di collaborazione.

D. Proseguendo con il tema della precedente domanda possiamo chiederci perché oggi l’arrivo di persone via mare è sempre e solo descritto come un’invasione, come un grave problema. A meno che, coloro che attraversano il mare, si fermino prima, morendo. E certo all’origine di queste nuove traversate ci sono problemi. Ma possiamo scorgere anche un lato luminoso di questo fenomeno?

R. Decenni di pessima propaganda sul tema migratorio hanno creato o rinfocolato tensioni che condizionano ogni giorno la nostra percezione collettiva. I soggetti politici che hanno capitalizzato consensi sul tema “dell’invasione” sono i primi a voler mantenere in vita queste paure latenti. Guardando fuori dal nostro paese la situazione non è migliore: l’Europa – chiamata al banco di prova dalla necessità di formulare politiche di accoglienza – ha dimostrato sul tema, in questi anni, tutta la sua fragilità. Così oggi guardiamo sempre più spesso al Mediterraneo come fortino di difesa o cimitero e non riusciamo più a vedere la casa comune. Quella grande area culturale, ibrida, fluida, trasversale alle letture che declinano la storia per civiltà, nazioni, religioni. Il professor Egidio Ivetic, nella sua “Storia dell’Adriatico” afferma che, riflettendoci bene, sono pochi i mari che arrivano a rievocare l’idea di sé stessi in termini di una cultura (plurale, ma condivisa). Il Mediterraneo e dentro di esso l’Adriatico – afferma Ivetic – oltre ad essere mari sono una “memoria comune”.
Nei giorni del Festival grazie all’aiuto del reporter Christian Elia, ma anche attraverso il cinema e la fotografia, proveremo a testimoniare quanti danni, quante vite umane perdute, quanta miopia politica, stia producendo la narrazione dominante che vede il Mare Nostrum come linea di scontro o trincea da difendere. Lo faremo cercando di andare oltre, tornando invece a mettere a fuoco quel patrimonio comune che riguarda tutti noi fortunati abitanti delle rive mediterranee.

D. Anche se il nostro sguardo si volge sempre e in primo luogo al Mediterraneo, non possiamo dimenticare come nell’era dell’Antropocene, luoghi immaginati come candidi e indisturbati di questo nostro Pianeta, siano ora il segnale più evidente del lato distruttivo dell’agire umano. Per esempio l’Artico. Perché?

R. Il “Grande Nord” è argomento a cui abbiamo dedicato spazio sin dalla prima edizione: abbiamo letto e ascoltato le pagine e le voci di giornalisti e scienziati che ci avvertono che è proprio lassù, in quello spazio bianco, apparentemente avvolto in un non tempo, fuori dalle cose dell’umanamente ordinario, che si stanno scrivendo pagine importanti del “Libro del Mondo”.
Nelle passate edizioni abbiamo osservato la regione artica come epicentro dei fenomeni di surriscaldamento globale, come scacchiera delle strategie geopolitiche, come vittima del capitalismo estrattivo e della sua corsa a spolpare ogni lembo di terra che lo scioglimento dei ghiacci rende macabramente disponibile.
Quest’anno, grazie alla presenza dell’antropologo Matteo Meschiari, cercheremo di mappare in particolar modo le ricadute sociali e culturali provocate dalla colonizzazione dello spazio artico. Sami della Scandinavia, Yupik dell’Alaska, Nenet della Siberia, Inuit della Groenlandia, Ciukci della Siberia: nelle pagine di Meschiari si raccontano popoli di cui si parla poco e che stanno svanendo, sempre più minacciati dall’incontro forzato con l’uomo “bianco”.
All’interno del suo “Artico Nero”, Meschiari sottolinea che – proprio come il Sud del mondo, cui siamo abituati a pensare quando riflettiamo sulle nefandezze dell’imperialismo occidentale – anche il Grande Nord ha vissuto colonialismo e post colonialismo e così, oggi, in un’Artico morente, ritroviamo cacciatori privati di radici e terreni di caccia, famiglie devastate dall’alcolismo, saperi tradizionali che si perdono, suicidi che crescono esponenzialmente più cresce l’urbanizzazione e la sedentarizzazione.

D. Il mare è uno dei luoghi/concetti che di più, e più spesso, hanno sollecitato l’immaginazione umana e alimentato le espressioni artistiche. Letteratura, poesia, filosofia, pittura, fotografia. Nel programma possiamo scegliere fra mostre fotografiche e pittoriche. Ma la letteratura troverà un suo spazio?

R. Come abbiamo ricordato presentando il tema di quest’anno, i Greci avevano tante parole per definire il mare: “Hals”, il sale, il mare in quanto materia. “Pelagos”, la distesa d’acqua, il mare come visione, spettacolo. “Pontos”, il mare spazio e via di comunicazione, “Thalassa”, il mare in quanto evento. “Kolpos”, lo spazio marittimo che abbraccia la riva, il golfo o la baia. Proprio dal legame tra le parole e il mare abbiamo dato avvio alla nostra riflessione. Quanta letteratura si è interrogata sul mare e sugli uomini scrutando tra le onde è inutile tentare di capirlo: dalla balena di Melville all’Atlantico di Simon Winchester, dalle navigazioni di Conrad al mare di Claudio Magris, tentare un elenco sarebbe un’impresa titanica.
Al Festival ospiteremo autori che con la loro scrittura hanno avuto in qualche modo a che fare col tema del mare e cercheremo di cogliere, grazie al contributo di Dino Gavinelli, professore ordinario di geografia all’Università degli Studi di Milano, quanto il contributo della letteratura sia importante per la ricerca geografica e quanto dall’incontro di questi due mondi nascano suggestioni oggi importantissime e affascinanti.

I progressi e le novità del programma del festival in via di formazione sono visibili consultando il sito www.festivalgeografie.it

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