E’ l’omaggio dialettale all’ultimo dei luoghi che ha fatto grande casa nostra. La “Tessitura Enrico Tronconi” di via Garibaldi. Al di là della ferrovia e di fronte a villa Notari.
Non c’è più. L’hanno rasa al suolo in pochi giorni un paio di ruspe venute da fuori. Di quelle che non conoscono la storia e non hanno rispetto.
Resta in piedi, orgogliosamente in piedi, l’ultima ciminiera. Totem invincibile di una civiltà secolare.
Campione assoluto di architettura industriale d’inizio ‘900, “Ul Truncòn”, protetto dalla sua alta mura, rappresentava uno dei siti produttivi più completii, progettati dalla dinastia tessile dei Tronconi, imprenditori lombardi attivi dall’unità d’Italia.
Dall’inizio del secolo e per i successivi settant’anni , filiere di telai meccanici hanno prodotto a ritmo assordante quantità infinite di tessuto per la casa e l’abbigliamento di qualità, che poi veniva nobilitato, colorato e reso commerciale sempre negli stessi capannoni. Un lavoro duro, intendiamoci. Qui hanno giocato un ruolo essenziale migliaia di lavoratrici, trovando dignitosa occupazione ed un salario che permetteva loro di contribuire a mettere insieme il pranzo con la cena, avviando l’intero paesello sui binari dello sviluppo.
Appartengono al mito le vicende di quella Villasanta operaia: ore 8, ore 12, ore 13,30 e 17,30 da Tronconi, Tagliabue, Colombo, Cremona, Carozzi, Daelli, Fontana, Pessina, Rossi il sibilo delle sirene tagliava l’aria. Industria tessile in senso lato, metalmeccanica e petrolchimica: un patrimonio di oltre duemila posti di lavoro in un paese che conta settemila anime. Tutto quanto si scuoteva a quel comando invasivo: migliaia di tute blu e vestaglie nere sciamavano per strada in andata o ritorno, biciclette ovunque. Addosso la tipica frenesia dei brianzoli che, tornando a casa, affrontavano l’altra parte del giorno; lui in campagna o nella vigna o in stalla con le bestie. Lei con i figli e l’acqua a scaldare sulla stufa. Una marcia trionfale verso il benessere. Fame di vita.
Sul finire degli anni ’70, però, è proprio dal comparto tessile arrivano le prime gelide avvisaglie della globalizzazione; le manifatture correvano verso affannose delocalizzazioni . I capannoni del “Truncòn” sostenuti da quelle colonnine in ghisa che profumavano ancora di rivoluzione industriale, troveranno un ruolo residuale lottizzati in spezzatini artigianali. Ma il destino veniva avanti a muso duro.
Una decina d’anni fa una prima indiscrezione: ul “Truncòn”..al sbàtan gio. Poi arriva la crisi e il progetto va in freezer nello spazio di un amen. Ma ora le ruspe e la polvere,. Sfrattati senza preavviso centinaia di piccioni, per non parlar dei topi. Offesa la memoria di chi quel romanzo popolare l’ha vissuto.
Fuori c’è già il “rendering” di ciò che sarà il “Parco dei tessitori”, perché si chiamerà così. Sarà un quartiere civettuolo, accogliente con stile; persino qualche concessione al liberty che connotava quel sito.
Fatta definitivamente a pezzi l’icona-pop anni ’60 di Fotomolteni che rappresentava lo skyline di Villasanta con l’acquedotto, la raffineria, il Lux, l’Hotel Parco e le fabbriche. Le molte fabbriche.
Ora avremo i “loft” gli “Open space” con piscina, Jacuzzi e family spa; tutto, ovviamente classe A (ca va sans dire) . Anche se il vero liberty di casa nostra rimarrà ancora e sempre il lavoro.
Franco Radaelli
(si ringrazia Guido Battistini per la collaborazione)
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