Lieve. Come quelle mezze tinte seppiate di cui era maestro, Umberto Molteni ci ha lascia così, in una fredda notte d’inverno, senza sofferenza apparente. Si è spento in un amen, come si fa alla bella età di 94 anni, uno degli ultimi Artisti Artigiani degni della maiuscola.
La sua bottega da fotografo, prima che diventasse studio e laboratorio, l’aveva aperta nel ’52, una vita fa, non aveva ancora sposato la signora Piera che, accanto, abbinava la sua vetrina floreale. Sempre lì, via Mazzini angolo Cesare Battisti, nel palazzo del “Pollino”, ombelico della nostra storia.
Umberto Molteni aveva appreso “ul mestée” dal fotografo Farina di Monza quando non c’era tempo da perdere e doveva essere “Buona la prima!” perché soldi da sprecare in pellicola non ce n’erano e via a sviluppare in camera oscura. Farina, con Valtorta, Valdemaro, NeriGaviraghi, Scotti, Caprotti a Monza ricoprivano tutto lo scibile della fotografia , dall’artistico, al fotogiornalismo,dai matrimoni, ai cataloghi delle macchine da lavoro, tutto usciva da quelle mani con il valore aggiunto di una morbidezza di toni che. dopo oltre mezzo secolo, documenta una qualità esecutiva di cifra assoluta. Qui da noi, non so altrove, non poteva che essere così: non un mero mestée, ci voleva un altro ingrediente: la passione.
Di tutto ciò Molteni è stato grande interprete, Che si trattasse di cerimonie importanti, riunioni istituzionali, concerti al Lux o arrivi delle corse ciclistiche Gerbi, Molteni aveva il dono del colpo d’occhio e coglieva l’attimo: due, tre flash e il servizio era completo. Autorevole regista di mille matrimoni, per sorvolare su comunioni e cresime che per decenni hanno atteso di essere immortalate soltanto da lui.
Memorabile il collage fotografico che riassume Villasanta nel suo massino fulgore. Molteni lo assembla negli anni ’70 con acquedotto, torri della Lombarda Petroli, Pora Dona, cinema “Lux” e, ovviamente Palazzo Borradori; il cocktail conferisce al nostro paesello uno skyline dal profilo persino metropolitano
Il mio incontro con il signor Umberto fu conseguente alla collaborazione di Enrico Erba col “Cittadino”. Enrico mandava i pezzi con l’aggiunta:”La foto ce l’ha Molteni”. Io ci andavo e lui, consapevole che stava lavorando “gratis et amore dei” mi pregava: “Ma racumandi…almén la didascalia”, sì insomma, che da qualche parte apparisse almeno “Fotomolteni”.
Poi, assai probabile, che con Enrico si aggiustassero al “Politecnico del Campari”, vale a dire al Bar Roma, salotto buono della borghesia imprenditoriale di casa nostra; che stava sul marciapiedi di fronte, quando ancora lo governava il papà di Franco Radrizzani.
Quel giorno in cui il digitale irruppe volgarmente a gamba tesa, sostenendo che da quel momento le fotografie le sapessi fare anch’io, Umberto Molteni non fece una piega. Si tirò di lato e tenne aperto il suo studio, attento il suo sguardo, aggiornata la vetrina. Non gli ho mai chiesto un giudizio su quella rivoluzione pop ma me lo posso immaginare. Dove volete che gli abbiano allestito la camera ardente se non nella saletta-posa del suo studiolo? Proprio sotto l’obiettivo di una vecchissima Rollejflex, credo, o di un’altra sua fedelissima compagna di vita.
Franco Radaelli
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