Guardando avanti, oltre i confini della situazione contingente, vi presentiamo la nuova edizione di una delle iniziative più recenti, e al contempo di maggior successo, di Villasanta: il Festival delle Geografie, promosso dalla Casa dei Popoli, che si terrà dal 17 al 20 settembre negli spazi di Villa Camperio.
Lo facciamo intervistando Alfio Sironi, membro del comitato scientifico.
Il Festival del 2020 si svolge su 4 giorni invece dei 3 del 2019. Alfio, ci sono molte cose da dire e presentare evidentemente. Forse perché il tema scelto è Confini?
Anche solo considerandoli nella loro accezione più semplice, quella politica, penso che per un momento, in Occidente, abbiamo pensato ai confini come a dei ferri vecchi, qualcosa di superato, di novecentesco. Una ingenua sottovalutazione. Le cose sono andate diversamente e i confini, i muri, le frontiere, sono tornati a prendersi le prime pagine. Difficile dire perché: da un lato, ipotizzo, poiché le splendenti e progressive sorti della globalizzazione a senso unico hanno subito qualche brusca frenata, dall’altro perché – sempre concedendoci il beneficio del dubbio – di confini e limiti, forse oggi più d’un tempo, abbiamo bisogno. Senza limiti perdiamo la misura delle cose, senza confine spariscono l’Altro e l’altrove e con loro la possibilità e la necessità di confrontarsi con punti di vista che non siano il nostro, si entra nella dittatura – o perlomeno nella noia? – dell’uguale. Solo l’incontro con l’Altro, destabilizzante e vivificante, può conferire a ciascuno la propria identità e generare reale esperienza. Il Libro del Mondo è per noi il libro delle diversità – di contenuti, di metodi, di campi da esplorare, di visioni, di culture – diversità che sulle sue “pagine” si incontrano, provano a intendersi, a dialogare, a scontrarsi anche. Per tentare un esperimento del genere avevamo bisogno di spazio ed ecco la scelta di aggiungere un giorno in più!
Confini, una definizione positiva o negativa? O solo molto ambigua?
La cosa interessante dei tre termini tema del festival – confini, frontiere, limiti – è che, in ambito geografico, non mettono d’accordo nemmeno il sapere accademico. Figuriamoci quando cerchiamo di far dialogare la geografia con altre discipline o con l’arte. Pensiamo che sia proprio questa polisemia, questa pluralità di significati, a rendere interessante il tentativo di dedicare qualche giornata ad una riflessione comune, aperta e comprensibile a tutti. Sentiamo noi per primi il desiderio di fare chiarezza: ci proveremo dando voce a persone competenti, che studiano questi temi da diversi approcci e punti di vista. Pensiamo che mettere ordine tra le parole che usiamo aiuti a pensare meglio: non cambierà il mondo, ma ci aiuterà perlomeno a interpretarlo in modo più lucido.
Ciò che sta succedendo in queste settimane, sembra dirci che non ci sono confini per la diffusione di un’epidemia ma non ci sono nemmeno per fermarla. Mi ricorda il titolo di un libro degli anni ’90 di William Greider, One World Ready or Not. E se invece della parola “Confini” utilizzassimo la parola Limite? Termine sobrio eppur avvincente: per contenere il nostro delirio di onnipotenza contro gli altri, la natura, l’ambiente, senza rinunciare alla sfida del suo superamento
Il virus ha illuminato il nesso tra le due tematiche. Anzitutto, la globalizzazione: nel nostro inconscio c’era l’idea che il mondo fosse globalizzato solo per noi; noi che potevamo viaggiare dove ci pare, spostare il lavoro dove costa meno, investire dove conveniente. Oggi invece è il resto del pianeta che entra nel giardino di casa nostra e senza chiedere permesso. Scopriamo con angoscia che il mondo cambia rapidamente e che la globalizzazione non è una strada a senso unico. In secondo luogo, riprendendo un vecchio titolo degli anni Settanta, la situazione che stiamo vivendo ha evidenziato la necessità di tornare a discutere “i limiti dello sviluppo”. Sono ormai diverse le voci del mondo scientifico che evidenziano, per esempio, la correlazione tra epidemie come quella in corso e distruzione degli habitat naturali. Lo scorso anno abbiamo avuto ospite al festival Marzio Mian che ci ha parlato della situazione nell’Artico: lo scioglimento progressivo del permafrost, in conseguenza del surriscaldamento globale, potrebbe portare, per esempio, al risveglio di virus e batteri capaci di generare situazioni identiche a quella che stiamo vivendo. Le idee di una crescita costante e della mercificazione di ogni ambito della vita, che fino a qui sono state accettate più o meno supinamente dalla politica mondiale, ora meritano una ridiscussione.
Dobbiamo dunque disegnare nuove mappe del mondo con diversi confini. Che contributo può darci la ricerca geografica, la geografia, materia quasi espulsa dalla scuola ma ora, evidentemente, necessaria?
La geografia, specialmente quella a contatto con il pubblico, dovrebbe oggi occuparsi di abbattere i luoghi comuni, ribaltare i punti di vista, le immagini stereotipate, e restituirci, senza trucco, il volto del mondo. Un momento come quello del festival, in cui la geografia esce dalle università e scende per strada, ritorna nel suo habitat naturale, incontra i cittadini e le loro singole preziose geografie personali, deve offrire occasioni e strumenti di orientamento. In giro ce n’è un gran bisogno. Complici i grandi stravolgimenti del nostro tempo e il nostro crescente sentirci disorientati, ci si fa più domande, si cerca di capirci qualcosa in più. La geografia non può soddisfare questa sete, ma – diciamo così – può essere d’aiuto nella ricerca di fonti d’acqua.
Quali e quante iniziative avete previsto per i 4 giorni del Festival?
La settimana del festival sarà scandita da più di una ventina di appuntamenti suddivisi nelle quattro giornate. Teniamo molto al fatto che sia un appuntamento plurale e che ci sia spazio per realtà diverse: innanzitutto il mondo della ricerca geografica, con cui affronteremo il tema del festival a partire dell’origine dei termini in contesti linguistici diversi e dal punto di vista della produzione cartografica; avrà uno spazio importante il giornalismo di qualità, con particolare riferimento ai temi caldi della geopolitica e delle migrazioni; diversi saranno gli incontri con autori di libri, testi che abbiamo scelto e che ci aiuteranno a viaggiare dalle porte di Roma fino all’Asia Centrale. Ci sarà tempo per il teatro e per la poesia, con spettacoli e un poetry slam dedicati al tema del festival, e per esplorare una parte del prezioso archivio fotografico del fondo Camperio; infine, avremo dei momenti laboratoriali – dalla fotografia ai videogiochi – rivolti a varie fasce d’età.
Puoi darci qualche anticipazione su relatori, temi, eventi del Festival? Avete previsto qualcosa di specifico dedicato alla scuola?
Il programma del Festival è in elaborazione e stiamo aspettando ancora diverse conferme. Quindi posso anticipare solo una piccola parte delle molte cose che bollono in pentola. Ad aprire il festival sarà Emanuele Giordana, con cui faremo due chiacchiere a proposito di “Sconfinate. Terre di confine, storie di frontiera”. Emanuele, voce storica di RadioDue e corrispondente per Il Manifesto, insieme ad altri validi reporter, ha provato a raccontare le storie emblematiche di alcuni confini “caldi” del pianeta e poi a riflettere sul significato e il valore di parole come confine e frontiera oggi. Anche quest’anno avrà uno spazio di rilievo il meteorologo villasantese Flavio Galbiati, con cui dovremo tornare sui temi, mai così attuali, del riscaldamento climatico. Marzio Mian presenterà un reportage scritto navigando lungo il Tevere e di fiumi parleremo anche attraverso una mostra fotografica sul Po: Po/The river – Ongoing di Cesura Lab. Ha confermato la sua presenza Tino Mantarro, giornalista del Touring Club Italiano, che ci presenterà il suo ultimo reportage dall’Asia Centrale: “Nostalgistan. Dal Caspio alla Cina”. L’Asia Centrale ci sembra uno dei luoghi del mondo che molto può insegnare sull’uso e il significato dei confini. Tornerà, gradito ospite dello scorso anno, il geografo Thomas Gilardi, una delle voci più interessanti della didattica della geografia in Italia, pronto a “ribaltare” e poi risistemare i comuni concetti di limite, confine e frontiera. Parlando di didattica, in collaborazione con l’Associazione Italiana Insegnanti di Geografia (AIIG), che patrocinerà il Festival, abbiamo previsto un pomeriggio interamente dedicato alla formazione dei docenti di ogni ordine e grado. Crediamo, infatti, che il primo luogo in cui fornire gli strumenti per una buona lettura del mondo sia la scuola; gli insegnanti meritano momenti di formazione di qualità anche in ambito geografico.
Per qualsiasi aggiornamento su programmi, relatori, luoghi, ore e date si rimanda al sito https://festivalgeografie.it e alla pagina Facebook Festival delle Geografie.
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