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Genoa per noi

Intevista, bvutta vazza!” lo sfottò con la erre moscia; una sentenza. Se ti capitava di passare davanti al bar Roma il giorno sbagliato, all’ora sbagliata, non c’era verso di sfuggirgli.  Beffardo, ineffabile come un doganiere, il suo urticante grido di perculaggio te lo dovevi beccare e basta.

Poi rideva. Con quegli occhietti da Mandarino nel bel faccione glabro, sempre in festa.

Piero Viganò, il “Genoa” per noi, dieci giorni dopo aver tagliato il traguardo dei Settanta ci lascia. L’ultima sconfitta gliela infligge una malattia scoperta tardi; troppo forte per poterla sopportare. Va via anche lui con un epilogo che si replica con maledetta sistematicità, nella sofferenza e in silenzio. In solitudine, soprattutto.

Piero era un pezzo di pane. Amico empatico con cui non si riusciva a polemizzare nemmeno quando ci si inoltrava per gli sdrucciolevoli sentieri del calcio tifato. Sì, perché nasconderlo, nella vita di Piero il calcio ha occupato spazi privilegiati. Nato portiere con tanto di bagaglio appresso di follia, Piero fa le sue prime apparizioni nelle giovanili del Monza, prima metà anni Sessanta. D’accordo, non si può negare che il ragazzo non sia premiato da un fisico scultoreo, paffutello com’è ma c’è talento e coraggio in buona quantità. Arrivato in paese, Piero trova nella Cosov il suo ambiente ideale, sia negli anni del calcio attivo che, successivamente, quale sgrezzatore di “cantera”.

Prima e clamorosa conseguenza di quegli anni, Piero Viganò,  “Genoa” per tutti quanti, diventa il fratello maggiore di decine e decine di giovanissimi calciatori i quali, magari non potranno vantare fantastici trofei ma quanto a complicità e momenti di gloria ne hanno un sacco da condividere. E il “Genoa” era lì per tutti.

Sì, “Genoa” scritto così, all’Inglese. Cosa c’azzeccasse questo stravagante tifo per i Grifoni di Marassi era giusto chiederselo. Né Milan né Inter, per un Viganò che, dopo tutto, arriva da Monza. Per anni ho pensato si trattasse solo di una “foglia di fico” di un malcelato juventinismo; in realtà rappresentava una vera e propria eredità del papà che con i Rossoblu  della Lanterna nutriva un rapporto antico e viscerale.

All’oratorio di via De Amicis, nell’epopea trentennale degli Angelo Viganò, Natale Tremolada, Enrico Ferrario, a cui faranno seguito Michele Cazzaniga, Martino Arrigoni,  Piero Sala, Placido Boncioli, Vittorio Brioschi, Augusto Cambiaghi e  un’altra buona dozzina di genitori travestiti da allenatori di calcio si srotolerà il racconto di qualche centinaio di ragazzi tenuti insieme da un pallone e una casacca che rinvia a istanti indelebili.

Era la vita là fuori che restava da riempire, compito spesso tutt’altro che agevole. Piero galleggiò tra lavoro e amicizie che lo accompagnarono per lunghi tratti di vita. Fino a quando la scomparsa dei genitori ne svelò la fragilità adulta e il “Genoa” scoprì di avere avuto tutto, fuorchè l’indispensabile.

Piero ci ha lasciati nei giorni del Natale, un epilogo forse liberatorio.

Un triplice fischio che decreta il “finale di partita”, giocata e persa contro la solitudine. Fredda compagna di ogni portiere.

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