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I Colori dell’assenza

Addio a Romano Rossi.

Proprio nel giorno in cui il “Circolo Amici dell’Arte” corona il Sessantesimo anniversario di attività negli spazi di Villa Camperio, giunge la notizia della scomparsa di Romano Rossi. pittore astrattista, spirito solitario, pudico estimatore di sentimenti nascosti.

Poche settimane orsono, con lo stesso dolore, avevamo pianto l’addio a Peppino Bonfanti, fin dalla prima ora punto di riferimento del movimento non solo pittorico del nostro consessoo culturale. Due figure artisticamente e caratterialmente antitetiche e al tempo stesso complementari di una scuola che ha formato negli anni generazioni artistiche degne di rispetto.

Il contenuto artistico di Romano Rossi ha rappresentato l’alter ego di sé stesso: solitario, defilato, insofferente alla resa pubblica della sua creatività artistica, ha a lungo raffigurato a tinte morbide il proprio intimo soggetto; la natura. Stagione per stagione anzi ora per ora direi, in un continuo alternarsi di tonalità e accostamenti cromatici che narravano lo stesso tema: la natura o meglio sguardi sul parco di Monza, sua esclusiva fonte di ispirazione. Senza che in quelle opere rigorosamente astratte vi fosse il minimo sentore d’ombra di una presenza umana, figurarsi un profilo.

Romano Rossi avvolgeva in sé il proprio misterioso essere. Assai raro trovarlo in compagnia pur se al tuo sguardo rispondeva con sorriso accennato. Lo trovavi nel parco, naturalmente, meditabondo e in volo tra le sue interpretazioni d’arte e di vita.

Lo ricordo in una delle sue rarissime “personali” nel ’97 in villa Camperio. Presentava in rassegna una buona produzione di opere classiche che catturavano l’attenzione per quel singolare sussurro di colori che sembravano rincorrersi nell’aria. Ad un primo tratto in tenue chiaroscuro si avvicendava un’esplosione di sole a mezzogiorno. Prati lussureggianti di verde fresco sorvolati da cieli azzurrissimi e macchie rosse che potevano essere, indifferentemente, per taluni papaveri, per altri ciliegie. Ma Romano non scioglieva alcun dubbio; il suo obiettivo era esprimere un’esigenza interiore, e per ciò stesso essenziale.

In quella circostanza esordì con una primissima selezione di opere in acrilico; una tecnica introdotta di recente che Rossi stava forse sperimentando per una ipotesi di sviluppo espressivo. Ricordo di avergli manifestato le mie perplessità, peraltro molto amichevoli. Ebbene feci male. Rossi aveva già adottato questo nuovo linguaggio e sentirsi criticare quelle tonalità così accese da estremizzare fuori luogo quei soggetti, ci mise in contrasto.

Romano Rossi aveva cambiato tecnica e forse anche l’età ma ispirazione e soggetti erano i medesimi di sempre: ”E’ il parco di Monza la mia musa ispiratrice; non ho bisogno di andare molto lontano, non ho maestri, finisco i quadri molto rapidamente e non li tocco più!”.

La sua attività già adulta è poi proseguita per un sacco di tempo attorno a quei canoni: vernice acrilica, grandi formati, generosità di materia e sempre e soprattutto assenze.

Capisco solo ora come mai i nostri fugaci incontri della domenica mattina nel parco fossero svaniti. Nemmeno avessimo stabilito l’ora e il luogo dell’appuntamento, Romano mi aspettava sempre lì, appoggiato al paracarro che delimita la roggia in uscita dei Molini Asciutti: “Ciao Romano”. “Ciao”. E l’incontro terminava sempre con l’accenno di un sorriso.

Buon viaggio Romano. Scusami, ho scritto troppo.

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