Lo stimolo ci è arrivato dalla mostra Anche in Italia …i campi di concentramento fascisti, che abbiamo realizzato a gennaio in Villa Camperio per presentare i risultati di una delle prime ricerche condotte su un argomento ancora poco conosciuto e esplorato, di cui pochi sono informati.
Sull’onda di questo lavoro, dunque, abbiamo deciso di riprendere i viaggi della memoria – forzatamente interrotti causa Covid – e abbiamo deciso di ripartire proprio dall’Italia, organizzando un viaggio che ha avuto come momento centrale la visita della Risiera di San Sabba a Trieste.
Arrivati in città la sera prima, dopo un passaggio sul Carso, subito di prima mattina abbiamo raggiunto la Risiera, dove ad attenderci all’esterno abbiamo trovato il professor Franco Cecotti, presidente dell’Aned-Associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti di Trieste, mentre per la visita all’interno del campo siamo stati accompagnati da Giorgio Potocco, guida ufficiale della regione Friuli Venezia Giulia e profondo conoscitore del tema.
L’edificio è ciò che resta di un vecchio stabilimento per la pilatura del riso, situato alla periferia di Trieste: dopo l’8 settembre 1943, i nazisti dapprima lo utilizzarono come campo di prigionia e lo destinarono in seguito a campo di smistamento dei deportati diretti in Germania e Polonia, deposito dei beni razziati e alla detenzione e eliminazione di ostaggi, partigiani, detenuti politici e ebrei.
Il reparto che lo gestisce è composto da un centinaio di “specialisti” in genocidio che arrivavano dai campi di sterminio di Sobibor, Ttreblinka, Belzec e altri dove avevano portato a termine lo sterminio di oltre due milioni di ebrei polacchi.
All’interno del cortile accanto alla preesistente ciminiera viene costruito un forno – unico in Italia – mentre al centro del cortile un piccolo edificio viene adattato a camera della morte: si trattava di un’ampia stanza quadrata che fungeva da sala d’attesa per i condannati la cui esecuzione avveniva tramite l’utilizzo dei gas di scarico dei furgoni con i quali i prigionieri erano stati introdotti al campo. I cadaveri venivano poi cremati nel forno che fu distrutto dai nazisti prima di evacuare il luogo.
Dopo la “cella della morte” si trovano le “micro-celle”, 17 ambienti piccolissimi nelle quali potevano venir rinchiuse fino a sei persone, costruite per i detenuti politici e per i partigiani destinati quasi sempre alla morte. Sulle pareti delle celle si trovavano numerosi scritti ed incisioni, oggi scomparse, vuoi per l’incuria, vuoi per il successivo utilizzo della Risiera in qualità di campo profughi ma soprattutto per il desiderio di far sparire tracce di un così infamante passato.
Gli accorgimenti usati dai nazisti non bastarono a tenere segreta l’esistenza della Risiera di San Sabba durante l’occupazione. Gli abitanti della zona si resero conto che lì avveniva qualcosa di orribile e le notizie lentamente cominciarono a diffondersi. Alcune persone hanno raccontato che vedevano entrare dei camion; quando la ciminiera fumava, si sentiva un acre odore di carne bruciata e che di notte si udivano le urla e imprecazioni ogni volta che arrivavano autocarri carichi di prigionieri. Le vittime sono state stimate tra le 3.000 e le 5.000.
Dopo la guerra e per molti anni a seguire il campo venne utilizzato come campo per i profughi; nel dopoguerra la risiera fu a lungo dimenticata e la stessa esistenza di un campo di sterminio fu talora negata. L’edifico fu dichiarato museo nazionale nel 1965 dall’allora Presidente della Repubblica Giovanni Saragat. Dal 1975 è museo civico.
Al termine della visita alla risiera, ci siamo spostati di pochi km verso il confine, sull’altopiano del Carso, per raggiungere un altro luogo simbolo di altri feroci massacri: la foiba di Basovizza. Si tratta di una cavità artificiale, profonda circa 200 metri e Larga 4, scavata all’inizio del XX secolo per l’estrazione del carbone ed in seguito abbandonato. Questo luogo durate le fasi finali della Seconda guerra mondiale come luogo di esecuzioni sommarie per prigionieri, militari, poliziotti e civili da parte delle formazioni jugoslave: impossibile stabilire il numero esatto delle vittime, che può essere solo stimato in relazione al numero delle persone scomparse. A ricordo di tutte le vittime degli eccidi, la cavità è stata chiusa e sull’area è stato costruito un sacrario che nel 1992 è stato dichiarato monumento nazionale dal presidente della repubblica Oscar Luigi Scalfaro.
Nel nostro viaggio in terra friulana, non potevamo certo non potevamo tralasciare una visita al sacrario di Redipuglia, il più grande sacrario militare dedicato ai caduti della grande guerra, realizzato su progetto dell’architetto Giovanni greppi e dello scultore Giannino Castiglioni ed inaugurato nel 1938: i 22 gradoni in pietra bianca del Carso custodiscono le salme di oltre 100.000 soldati caduti nelle zone circostanti e già in precedenza sepolte sul colle di sant’Elia antistante al sacrario.
Lì ci ha accompagnato Giorgio, guida appassionata di Sentieri di Pace della proloco Fogliano Redipuglia, con lui abbiamo raggiunto il vasto pianoro del monte Sei Busi e percorso alcune lunghe trincee fino a raggiungere la dolina dei Bersaglieri o Zappatori, che fu ospedale da campo. Pur alzandoci solo di pochi metri, si è aperto davanti a noi il panorama vasto e selvaggio del Carso, in stridente contrasto con i tragici avvenimenti che lì si sono svolti.
Dunque, dal 19 al 21 maggio siamo stati ospiti di Trieste, bellissima città mitteleuropea che abbiamo potuto conoscere da vicino grazie ad Helen, la guida che ci ha accompagnato per le vie, le piazze e i monumenti della città, facendoci scoprire il suo volto storico di città imperiale, capoluogo del “litorale austriaco”, come veniva chiamata in epoca asburgica. Indimenticabile la sua atmosfera di sera, quando le facciate degli splendidi palazzi storici si accendono di luci, illuminando le piazze più belle che si affacciano al mare.
Per ultimo la visita di un luogo incantevole: il castello di Miramare, costruito tra il 1856 e il 1860 poco fuori Trieste, fu la splendida dimora di Massimiliano d’Asburgo e della sua consorte Carlotta del Belgio. Il castello è inserito in un parco pubblico di ben 22 ettari, collegato a Trieste da una pista ciclopedonale.
Il nostro viaggio della memoria, iniziato da Villasanta il 19 maggio, si conclude così due gironi dopo; in un tempo relativamente breve abbiamo condiviso tante e diverse emozioni: dal dolore allo sdegno, dal valore della memoria alla condivisione, dalla bellezza dei luoghi alla bellezza dello stare insieme, del condividere. Di sicuro un’esperienza che ha lasciato più di una traccia dentro ciascuno di noi. Un ringraziamento a tutti i partecipanti e un arrivederci a presto per un altro viaggio insieme.
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