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Don Alessandro Chiesa: “Lascio una comunità generosa che si prende cura delle fragilità”

Lasciare Villasanta un po’ gli dispiace, “per gli affetti e le amicizie” maturati in paese e perché il trasferimento non era in programma; anche se, naturalmente, il dovere dell’ubbidienza non è in discussione.

A dirlo è don Alessandro Chiesa, il parroco arrivato nel 2016 – dopo il trentennale servizio di don Ferdinando Mazzoleni – e che dal 1 settembre ha formalmente assunto il nuovo incarico a Bollate, pur continuando ad abitare in paese nell’attesa di completare il trasloco. Il punto lo ha intervistato e ha raccolto le sue interessanti considerazioni.

Don Alessandro Chiesa, parroco dal 2016

Don Alessandro, com’era Villasanta al suo arrivo?

Era una comunità con le sue tradizioni e le sue abitudini, direi anche con ritmi e dinamiche maturati nel corso di una consuetudine durata trent’anni: un tempo molto lungo, i radicamenti sono quasi inevitabili. Era però necessario fare dei passi avanti e andare verso un rinnovamento perché anche la Chiesa nel frattempo era cambiata.

Il primo segnale importante si manifesta un anno dopo con la costituzione della Comunità pastorale Madonna dell’Aiuto, che riunisce tre parrocchie: Sant’Anastasia, San Fiorano e San Giorgio di Biassono. Perché è stata creata e che cosa ha portato?

La Comunità pastorale è la forma della Chiesa di oggi; un oggi in cui il numero dei sacerdoti assegnati ad ogni parrocchia è più piccolo che in passato e occorre collaborazione. In 10 anni siamo passati da 7 preti a 3, probabilmente tra 20 anni il paese potrà contare su un solo prete. Il cambio di modello organizzativo è inevitabile. Certo, siamo partiti con qualche fatica ma poi le parrocchie hanno iniziato a collaborare ed è un processo che non si fermerà perché quella che si sta affermando è una nuova modalità di essere Chiesa, più vicina alle sue origini e agli Apostoli. La “societas cristiana”, come l’abbiamo conosciuta, non esiste più. Dobbiamo avere lo sguardo proiettato verso il futuro e recuperare la partecipazione dei laici nella preghiera e nella catechesi. La Chiesa in Europa è stanca, pesante e sta perdendo vivacità ma in Asia, in Africa, nelle Filippine è vitale e segue proprio queste tendenze.

Gli oratori sono da sempre un aspetto importante nella vita della comunità villasantese. Qual è il loro ruolo oggi?

Gli oratori hanno una grande potenzialità di fronte a ragazzi che – nonostante lo stare continuamente connessi – sono sempre più isolati. Se guardiamo i numeri, sono assolutamente positivi: in 800 quest’anno hanno frequentato l’oratorio feriale. La maggior parte, però, poi non continua a frequentare; allora noi dobbiamo andare oltre e convincerli a lasciarsi coinvolgere, per questo è fondamentale che anche le famiglie ci credano. Da parte nostra, stiamo lavorando molto sulle relazioni con i ragazzi delle scuole medie e i pre-adolescenti, facciamo pomeriggi e serate a loro dedicati, sfruttando anche la contiguità fra la scuola e l’oratorio, che a Villasanta sono proprio uno di fronte all’altro, separati solo dalla strada. Sono frutti che misureremo a distanza, noi intanto ci lavoriamo.

Dal suo osservatorio, com’è la situazione sociale in paese?

Il paese è complessivamente benestante ma con il Covid le fragilità e lo stato di bisogno sono aumentati, pensi che oggi la San Vincenzo, con il Banco Alimentare, aiuta ben 150 famiglie; se ipotizzo 4 persone per famiglia sono circa 600 concittadini, il 2% della popolazione. I servizi sociali non riescono ad arrivare dappertutto, c’è una comunità generosa che supplisce e che si prende cura degli altri.

Don Alessandro, che Villasanta lascia?

Lascio una Villasanta che ha camminato e ha voglia di continuare a farlo e una comunità meno centrata sui 3 campanili e capace di uno sguardo più ampio, come deve essere la Chiesa delle genti.

Ogni anno, durante la mia permanenza, ho organizzato un corso di lettura della Bibbia che ha raccolto la partecipazione di 60/70 persone, l’ultimo era dedicato alle Lettere ai Romani di San Paolo. Non ha mai chiesto ai partecipanti se fossero credenti o non credenti, ciò che importa oggi è la differenza – sottolineata dal cardinale Martini – fra pensanti e non pensanti: occorrono prospettive alte, anche nel campo politico. Quando una persona pensa, trova comunque la strada del Vangelo e non spreca la vita nelle banalità. E’ questo l’augurio che faccio anche al nuovo parroco, don Massimo Zappa.

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