il significato della memoria

La Curt di Mort

Iniziamo con questo numero, dedicato alla Curt di Mort, la pubblicazione di una nuova rubrica intitolata alla Villasanta del secondo dopoguerra. Quegli anni tra il ’50 e il ’60 del novecento che per Franco Radaelli, estensore di questa rubrica, sono stati gli anni di formazione, e che per il nostro paese hanno rappresentato il periodo di grande trasformazione, tra una realtà ancora ancorata ai valori del passato, ed una nuova realtà più integrata nei valori della modernità cittadina in grande evoluzione di Monza e Milano, verso le quali Villasanta si è rivolta con maggiore attenzione.

l’ingresso alla Curt di Mort oggi

Tutta colpa delle peste del ‘600. Per contrappasso, invece, questo è sempre stato uno dei cortili più vitali del paesello. Punto di riferimento per “Quei d’insù” sia come sede dei tre corsi di scuola elementare, che come capolinea della corriera dei fratelli Vimercati, la linea diretta Villasanta-Monza.

Piazza Daelli era un importante centro di traffico; con trattorie, stallazzo e punto di contatto per svariati scambi commerciali. Alle spalle, dietro ai cortili scrosciava l’incessante gorgoglio che arrivava dal “funbiòn” e dai “preèt“, spumeggianti crogioli d’acqua tra Molgorana e Gallarana; teatro di giochi pericolosi in equilibrio fra un bagno fuori stagione e lo sfuggire alle grinfie dei cani lupo che “Clètu di Ross” ti aizzava contro, quando tentavi di violargli la proprietà per una manciata di ciliegie.

Rogge che poi, naturalmente, servivano ai Maggioni e ai Rossi per sbarcare il lunario, vivacizzando un’economia “da cortile” appena sopravvissuta alla Guerra.

Vivevano, in quei tre cortili uno contiguo all’altro, i Bestetti, i Biella, i Colombo più un ceppo di Ornaghi, di Penati, Viganò e Villa. Chi lavorava al vicinissimo Calzaturificio Cereda: altri battezzavano i primissimi laboratori artigianali.

Ma il biglietto di presentazione della corte lo offriva il indubbiamente la vetrina di Giuseppe Spreafico, panettiere per mestiere, violinista per amore, molto apprezzato da tutti coloro che lo hanno avuto alle feste di matrimonio.

In fondo al cortile la scuderia dei magnifici cavalli da tiro pesante di Carlètu Bidoglia, l’ultimo dei cavallanti. Fossero di razza Bretone o degli stalloni belgi non saprei dire ma mozzavano il fiato.

Si gioca in quanti si vuole. La porta è qui, oppure là, insomma dove c’è spazio. L’arbitro non serve. Nemmeno il cronometro. Occhio ai vetri e allo scopino delle mamme incazzate. Sennò tocca cambiare campo, almeno provvisoriamente,

Accanto a loro ogni altro cavallo appariva un ronzino senza qualità. Nella stalla Carletto li trattava come figli: il loro mantello splendeva ad esaltare una muscolatura scolpita, prorompente. Poi il lavoro chiamava e lui li portava fuori in coppiola, attaccati al carro con pianale basso e ruote in gomma piena (la bara). Ci fosse da caricare piattaforme in ghisa delle presse che uscivano dalla Colombo, dai Cremona o dai Galli, o macchine utensili di vario tonnellaggio, quegli straordinari atleti della fatica scintillavano i ferri sui “bulugnétt” incurvando il collo poderoso e schiumando rabbia dalle nari mentre Carlètu, dritto sul carro, digrignava minacciosi “Va làaa… hùùù!!!” condito in un turpiloquio spaventoso e la frusta schioccante nell’aria. Si credo che il linguaggio da cavallante l’abbia proprio inventato lui. Per il resto rappresenta l’immagine felliniana di una Villasanta inossidabile, indimenticabile.

Una piazza Daelli anni ’60 con traffico a due direzioni: la Curt di Mort, tutto a destra osserva e e sopporta” (dal libro di Bartolomeo Ferrara “Immagini ritrovate”)

RICETTA: TORTA PAESANA

Pane raffermo a macerare nel latte fino ad inzupparsi per bene. Poi, mescolarlo fino a ridurlo ad una specie di zuppa. Aggiungere qualche biscotto secco, un uovo, zucchero e cacao amaro in polvere o direttamente cioccolato fondente. Mescolare il composto, versarlo nella tortiera in ceramica (bielètta?) e consegnarlo al panettiere che, se gliene hai dato un chilo, il giorno dopo te ne restituisce sette etti ma ben cotti. Beh, sa…è il calo della cottura.

GIOCO: CALCIO A UNA PORTA SOLA

Si gioca in quanti si vuole. La porta è qui, oppure là, insomma dove c’è spazio. L’arbitro non serve. Nemmeno il cronometro. Occhio ai vetri e allo scopino delle mamme incazzate. Sennò tocca cambiare campo, almeno provvisoriamente.

6 Comments

  1. La foto della manifestazione Sanfioranese è una cosa che mi è saltata subito all’occhio ma,a parte quella , ottima descrizione e per me ottimo lavoro. Bravo! Grazie
    Attendo altre pubblicazioni 👍🏼

  2. Bravissimo Franco

  3. notizie per…intenditori.(purtroppo).

  4. Ripeto, la foto è degli anni 70… Direi anche fine anni 70. La manifestazione sanfioranese comincia nel 1977… Vedi te. Se poi ti danno fastidio le osservazioni…

  5. “Una piazza Daelli anni ’60 con…” La foto è degli anni settanta non sessanta.

    • Questa rubrica ha anche lo scopo di sollecitare la comunità villasantese a partecipare a questo archivio di memoria condiviso. Per cui critiche, suggerimenti, ma anche contributi sono molto graditi. Se poi i lettori volessero contribuire anche con loro fotografie d’epoca non potremmo chiedere di meglio.

Scrivi un commento