In questi momenti di diffusione del coronavirus può essere interessante ritornare su antiche vicende che, fatte le dovute proporzioni, molto rimandano alla nostra attuale situazione.
I nostri avi nel 1576 dovettero fronteggiare un’epidemia di peste ricorrendo a provvedimenti che ci ritornano, in parte, familiari.
Certo oggi possiamo contare su quattrocento anni di rivoluzione scientifica, ma l’odierna epidemia ha scalfito le certezze della nostra moderna onnipotenza tecnologica, avvicinandoci alla religiosa impotenza di quasi cinquecento anni fa.
Di seguito un estratto dal sito Storia di Villasanta gentilmente reso disponibile da Guido Battistini e sul quale potrete trovare numerosi approfondimenti. Vai a STORIA DI VILLASANTA
Nel 1576 il Nord Italia fu colpito da una delle ricorrenti epidemie di peste. Anche Monza e il suo contado subirono questa tragedia e un manoscritto, con gli atti emanati dal Magistrato di Sanità di Monza, durante il contagio, ce ne descrive le tristi vicende.
Il morbo comparve ufficialmente il 4 Agosto del 1576 e si portò via ben più di duemila delle dodicimila anime monzesi di allora.
I primi casi di peste si manifestarono nel borgo di San Biagio, (allora esterno alla cerchia muraria della città) portati, secondo una notizia del tempo, da una mercantessa girovaga arrivata da Mantova con coralli e gingilli. Le case di San Biagio furono immediata mente circondate con uno steccato con tanto di guardie e chiuse ad ogni accesso e uscita.
Ben presto tuttavia il contagio si diffuse nel resto della città e nei villaggi limitrofi. Le persone individuate come infette o sospette tali dovevano scontare il periodo di quarantena, sequestrate nelle proprie case o, nel caso di persone povere, ricoverate nelle così dette capanne, appositamente costruite per fungere da lazzaretti.
Stante il diffondersi dell’epidemia, si arrivò anche ad istituire una Quarantena generale, che imponeva per 40 giorni a tutti gli abitanti, sia infetti che immuni, di restare chiusi in casa, pena la vita o la confisca delle sostanze. Anzi, anche all’interno delle case i familiari dovevano restare ad una distanza minima di tre bracci (poco meno di due metri).
E guai a spostarsi! Nel Novembre del 1576 l’Officio di Sanità ordinava al Console della Santa di far costruire, a spese degli abitanti, le capanne per gli infermi (probabilmente dietro l’attuale Cappella di SanRocco), e di impedire che chiunque si allontanasse dalla propria casa, pena una multa di 500 scudi. Rischiava invece la vita chi, abitando alla Santa, fosse stato trovato all’interno delle mura di Monza.
Più cruenta la sorte destinata agli abitanti del Comune della Coda (Costa Taverna comprendeva l’abitato tra le attuali via Garibaldi e Mazzini).
Chiunque infatti li avesse trovati nel territorio (confinante) della Santa o addirittura a Monza, era autorizzato a sopprimerli, in assoluta impunità.
Questi provvedimenti, oggi per noi così estremi, ma da collocare nel contesto storico del tempo, portarono, purtroppo a caro prezzo, a stroncare l’epidemia e nel luglio del 1577 la città fu dichiarata libera dall’infezione.
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