Abbiamo cercato, invano, di capire cosa ci faccia un articolo maschile davanti ad un vocabolo femminile. La versione più credibile, per quanto tutta da verificare, sta in una licenza dialettale, motivata dal voler differenziare questa Cà da quella omonima che si trova all’estremità opposta del paese, sul prolungamento di viale della Vittoria, quando siamo già ad Arcore.
Nella sostanza, tuttavia, ci troviamo nel cuore antico della Villola, (www.storiadivillasanta.it) territorio di confine sud con Monza. È la patria dei Galimberti, dei Viganò, dei Merlo e dei Magni, i cui eredi ci vivono ancora, in uno splendido isolamento premiato dall’essere del tutto fuori mano. Anzi, da quando è stato definitivamente murato il vecchio passaggio a livello, è sparita l’appartenenza a via Flavio Gioia e la cascina e annessa alla Strada Vicinale della Briosca, sconosciuta a gran parte di noi perché siamo ai confini del gran regno dell’ex Lombarda Petroli.
La cascina Villora, così come la Blandoria, sono lì a due passi, in bilico con Monza, ultime testimonianze di quella che è stata per secoli una vivacissima scacchiera di comunità e case coloniche.
Nel bel mezzo delle cascine, sul confine con Monza, per quasi un secolo, la grande cava. Attivata all’epoca della realizzazione della ferrovia (fine ‘800), al fine di ricavarne pietrisco per la massicciata. Divenne in seguito una preziosa miniera di ghiaia da cui i Galbiati di Monza traevano ottimo materiale da costruzione. La terza e ultima stagione è la più drammatica; siamo negli anni ’60 e grosse cisterne provenienti dalla raffineria continuano a sversare liquami di petrolio a cielo aperto in cava. Si è formato un laghetto profondo attorno al quale i ragazzi inventano giochi che durano tutta l’estate. Funzionava così. Ed è andata avanti fino al definitivo interramento del sito.
Gli ampi terreni agricoli, intanto, erano stati acquistati dalla raffineria che si espandeva a vista d’occhio
Ma ul Ca’ Bianca rimaneva la piccola comunità di sempre. I padri avevano preso la via degli stabilimenti e le giornate da cortile proseguivano al ritmo delle stagioni: ci sono ancora stalle calde; i bambini rincorrono lucciole (lùsiroe) e maggiolini (tichetò); i gatti catturano e riportano in cortile lo smiròld (biacco, un serpente scuro e inoffensivo), mentre ormai i ghèss (ramarri, grosse lucertolone verdi), si sono rifugiati nel parco.
Il sabato ci si lava nel segiòn (mastello), tutti con la medesima acqua calda: siamo in sei? Ebbene l’acqua servirà per tutti e sei.
Prendo volentieri a icona dell’intera cascina la figura di Paolo Viganò: ragazzo del ’99, Bersagliere. Lo chiamano alle armi dopo Caporetto e lui porta con sé un proprio tesoro: è un giovane calzolaio. Quando il suo Tenente lo vede armeggiare con le proprie scarpe gliene chiede conto, e Paolo confessa che quello l’è ul so mestée . Il lieto fine l’avete immaginato, vero? Sì, diventerà il calzolaio di tutti gli Ufficiali e al ritorno a casa produrrà scarpe e le riparerà per altri quarant’anni.
Resistono i filari di muròn che fino al giorno prima avevano fornito il nutrimento per l’allevamento del baco da seta (cavalée).
E all’ombra dei gelsi concludiamo questa nostra panoramica pop sul Cà Bianca. Il muròn ci serve di nuovo per evocare la coltivazione della vite a tralcio lungo. Un’eredità che visse in pianura padana dall’arrivo degli Etruschi e poi dei Romani per lunghi secoli, fino alla fine dell’800, all’invasione della fillossera. (Villasanta terra di vino).
Questa tecnica agricola consisteva nel far correre sul terreno le viti ed appoggiarle ad alberi di alto fusto, consentendo la coltivazione contemporanea, nello stesso campo, di uva e cereali.
Da qui la definizione dialettale di vigna usata al posto di podere o di campagna e il ricordo sbiadito di ciò che resta dello stornellone nostrano che è rimasto nell’aria:
A la Santa i muròn fann l’ùga (lerài…) fann l’ùga (lerài…) fann l’ùga (lerài) Sarèmm anca brùtt ma semm simpatich (lerài…) Quel ciondòl (lerài…) in riva del maaar.
(Si accettano suggerimenti ad integrazione…)
ERRATA CORRIGE: Parlando della Cascina Campascètt , in occasione del ricordo dedicato a Mons. Giulio Oggioni (Siamo sulla pagina di Sant’Alisàndar), ho erroneamente collocato questo luogo lì dove oggi esiste il capannone Tagliabue gomme ex Delchi. Ebbene, mi è stato cortesemente notificato l’errore.
Su quell’area esisteva la cascina Cà Noeuva (Casa nuova), mentre il Campascètt lo si ritrova duecento metri prima, all’interno della recinzione Lombarda Petroli , praticamente al di là dell’area occupata dal distributore di benzina. In conclusione, anche per darvi l’idea della complessità della materia, c’è da aggiungere che sempre da queste parti esistevano: Ul Baj, cascina sull’attuale area Rovagnati; Faèl, Cascina del Sole, Giardino e non so cos’altro nella grande area dell’ex raffineria. Provateci voi a mettere ordine in questa ragnatela di nomi e di siti.
Un ringraziamento alla cortese collaborazione di Bruno Galimberti e Carlo Viganò.
Bravo Franco Radaelli, continua così.
Caro Franco, questi articoli e foto di una Villasanta che io non conosco, mi fanno stare bene. Imparo tante cose sul passato del mio paese che mi riempiono il cuore di bellezza. Quanto e’ importante ricordare il passato e imparare cose sulla vita che hanno condotto i nostri genitori. Grazie.
Un abbraccio grande da lontano,
Martina Maggioni
Bellissimi ricordi , non dimenticherò la mia ” settimana di vacanza” a settembre di ogni anno, quasi un premio, via dalla mia città ( Monza”….. dai miei zii Antonio e Rosetta,con i miei cugini Ornella,Cesare e Bruno. Grazie Ca’ Bianca…grazie Bruno
Ho già scritto un commento volevo sapere dove posso trovare Il Giornale Il Punto grazie
IL PUNTO è una testata on line all’indirizzo: http://www.ilpuntovillasanta.it/
Complimenti x come racconta i ricordi