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Se la Speranza muore. La scomparsa di Rosabianca Corno

Rosabianca Corno in una immagine giovanile

Rosabianca. Come quelle formazioni studentesche antinaziste tedesche che si opposero a Hitler fino dal ‘42.
Rosabianca come il fresco cuscino di fiori che copriva la sua bara, sull’altare, nell’ultimo saluto. Come il suo chiaro sorriso che si apriva quando mi donava i suoi punti di vista; mia personalissima Liliana Segre e
per i quali non l’ho mai ringraziata abbastanza.

Nata nel ‘46 in una di quelle famiglie, i “Corno dala Cassina”, intesa come la Cascina Recalcati, che ci rinvia a un sovraffollato ramo di un solido albero genealogico , con radici verosimilmente affondate in una mitologica narrazione da “Albero degli zoccoli”.

Era evidente in lei l’essere cresciuta in una famiglia dai principi spartani; un’appartenenza che in qualche modo ci accomunava e, pur non essendoci frequentati più di tanto, mi faceva ritenere che parlassimo la stessa lingua, che disponessimo della medesima scala di valori.
Fu davvero “La Speranza” ad avvicinarci. Lì scoprimmo entrambi che ci conoscevamo. Lei era entrata fin da subito dall’ingresso principale, quello dei fondatori. Io molto più tardi, da quello dei “volontari “ neo-pensionati.

Nei nostri non rarissimi incontri, mi piaceva registrare come la sua esperienza lavorativa avesse svolto la
funzione di affinarne la cifra culturale e stilistica. Sì, quella specie di “educazione brianzola” di cui si era
nutrita da giovanissima e che aveva temprato nel liceo di Monza, aveva trovato il suo approdo ideale
nello studio notarile più importante della città, collocato proprio nel cuore socio-economico del
capoluogo, nel momento di massima tensione evolutiva.

Conoscevo bene quell’ambiente perché io stesso, per motivi diversi, lo frequentavo spesso.
Un luogo sacro…in cui il dottor Cesare, uomo nato nell’Ottocento, fra boiseries che profumavano di cera
e parquet lucidissimi che ti scrocchiavano sotto le suole celebrava ieraticamente le solenni liturgie di un
notaio che viveva nell’algido mondo di chi è clamorosamente al di sopra di ogni sospetto…
Un’autorevolezza fantastica.

Quando arrivarono i giorni del passaggio di consegne ad Antonio, erede del notaio, Bianca, ormai da anni
collaboratrice di fiducia dello studio, venne invitata ad assumere poteri di firma, proposta irrinunciabile
per chiunque: ebbene lei declinò l’invito anzi si dimise per intraprendere la carriera di mamma.
E divenne Bianca, anzi “la Bianca”. Vestita di semplicità, animata dalla solidarietà umana come sanno
fare “quelli della Speranza” si mise sulle spalle il proprio zaino e proseguì senza rimpianti su un sentiero
che le appariva congeniale.
Casa, bicicletta e Cooperativa. Silenzi, sorrisi e problemi prima nascosti e poi, misteriosamente risolti. Mi
pare proprio di aver già scritto da qualche parte che alla “Speranza” sta di casa la Divina Provvidenza e
che si fa serissimo affidamento su di Lei. Ebbene: sono giunto sul punto di crederci anch’io.

Ora Bianca, però, giunge alla sua improvvisa fine. Lo fa nella sofferenza, lasciando la Cooperativa in
condizioni fragili. Recenti ferite ancora aperte e l’eco di spiacevoli vicende risuona ancora sui giornali
locali. Ci sarebbe stato il tempo di chiudere, di guardare avanti nell’interesse soprattutto della comunità.
Almeno, questo era il suo grande desiderio.


A un mese circa dalla scomparsa di Pierangelo Maggioni oggi il testamento morale di questa preziosa
amica richiama a valori di impegno e generosità
. L’augurio è che la Divina Provvidenza e nuovi uomini e
donne di buona volontà sappiano rispondere.
Se la Speranza muore, rimane solo il vuoto di una società avvizzita.

Nella foto di copertina, Rosabianca Corno in compagnia del marito Giorgio.

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